L’avvocato non sa ancora di che stoffa è fatto il banchiere. Perché nessuno si aspettava a Palazzo Chigi una simile escalation dei toni da parte di Giuseppe Conte, ma è vero soprattutto che nessuno prevedeva che Mario Draghi sarebbe salito di corsa al Quirinale dopo il confronto. Al Capo di Stato Sergio Mattarella il premier è andato subito a riferire della differenza di vedute con il precedessore (“Ognuno è rimasto nella sua posizione”, confermano dall’entourage del leader pentastellato). Un duello di 90 minuti finito male, malissimo. Conte credeva di poter brindare alla rielezione alla guida dei grillini, portando a casa il congelamento delle spese militari, o comunque un rinvio. Draghi però gli ha guastato ancora una volta la festa, non è cascato nei soliti teatrini: certi impegni “non si possono disattendere”, avrebbe ripetuto più volte durante il colloquio.
Il governo non arretra, l’incremento delle spese militari fino al 2% del Pil sarà segnalato già nel Def. Qualora Conte decidesse di sfidare l’esecutivo, allora Draghi sarebbe disposto a chiedere alla maggioranza di «contarsi in Parlamento». Un braccio di ferro che potrebbe di fatto spaccare il M5s, ma non solo. L’annuncio di una potenziale fiducia potrebbe sul serio ridisegnare l’attuale compagine di unità nazionale. Per la serie “o dentro o fuori”. Il faccia a faccia con Conte è stato tutt’altro che piacevole per ambo le parti: Draghi era appena rientrato da Napoli, dopo una giornata decisamente faticosa (e non per qualche fischio o insulto preso). Il premier ha incontrato i profughi ucraini e non ha trattenuto le lacrime davanti ai bambini. Ha incoraggiato poi un sacerdote, Antonio Loffredo, che recupera giovani nel rione Sanità. Tornato a Roma ha partecipato ad una call con il presidente Usa Joe Biden. A conversazione ultimata, il premier nello studio si è ritrovato Conte, che pretendeva che l’Italia rinnegasse patti internazionali già assunti.
Draghi non si è trattenuto, anzi. Fonti vicinissime dicono che abbia sul serio perso la pazienza. Anche perché l’ex numero uno della Bce non sopporta che si strumentalizzino certi temi per qualche like o voto in più. «In un momento così delicato alle porte dell’Europa», è impossibile mettere in discussione gli impegni per le spese militari. Difatti «se ciò avvenisse verrebbe meno il patto che tiene in piedi la maggioranza», perché si toccherebbe un punto fondativo per l’esecutivo, ha spiegato sempre Draghi. «Per arrivare al 2% mancano 15 miliardi, un picco notevole», ha avvertito Conte. Ed è stato il momento più duro del «duello». Il premier, a proposito di coerenza, ha tirato fuori dal cassetto gli stanziamenti del passato e ha mostrato al predecessore i numeri del bilancio della Difesa quando a Chigi c’era lui: «Nel 2018 si registravano circa 21 miliardi, mentre nel 2021 se ne registravano 24,6…». I governi gialloverde e giallorosso hanno aumentato le spese militari del 17%, assai più di quelli precedenti e successivi.
Conte col viso tirato, livido, avrebbe poi lasciato la stanza, dicendo: «Io non metto in discussione gli impegni con la Nato, né voglio che lo faccia il governo. Però ho il dovere di rappresentare la preoccupazione della prima forza politica in Parlamento: affrettarsi a rispettare la soglia del 2% del Pil significa provocare un picco delle spese militari in un momento di massima difficoltà per gli italiani. Se incrementiamo di 15 miliardi i fondi per la Difesa, dove si troveranno i soldi per far fronte al caro bollette, alla scarsità di materie prime, alla spinta inflativa?». Ed è su queste parole che è calato il gelo. Draghi pare sia rimasto impassibile, come una Sfinge. Sui fondi per la sicurezza nazionale non vuole e non può tornare indietro. E chi non ci sta è fuori. Per mettere pressione al suo predecessore, per fargli capire l’aria che tira, il premier è salito al Colle. Un gesto che Conte non si aspettava. Come pure non immaginava tanta freddezza. «Il presidente del Consiglio non ha fatto un passo in avanti, ma io non ne ho fatto uno indietro. Le posizioni restano distanti», si sarebbe sfogato con i suoi. Non sarà Draghi però a gettare la spugna, questo è certo.