A Mario Draghi è stata data un’uscita di scena perfetta: lui, vittima di un vergognoso complotto di stampo populista, fatto senza averne piena consapevolezza, semplicemente credendo di guadagnare quel consenso che è la loro unica ragione di vita. E invece, non vi è da stare tanto sicuri, gli italiani glielo negheranno alle elezioni nell’ormai vicinissimo 25 settembre. A dimostrazione di quanto siano dilettanti allo sbaraglio.
Ma i motivi di questo suicidio collettivo del sistema politico quali sono? Bisogna partire da Conte, che vive come un’usurpazione il fatto che Draghi abbia preso il suo posto a palazzo Chigi e vendicarsi è stato più forte di lui. Il resto è circo a cinque stelle.
Quanto a Salvini e Berlusconi, invece, bisognerebbe fare un’analisi, ma fargliela fare da uno bravo, considerando che già nel 2019 per un mojito di troppo si è fatto cadere il governo: al Cav evidentemente mancavano le sparate elettorali, mentre Draghi è stato lasciato libero di spiccare nuovamente il volo, come un fratino tenuto per mesi in cattività.
Ma è del tutto casuale che la parola fine al governo Draghi l’abbiano scritta i tre sopracitati Conte-Salvini-Berlusconi, cioè coloro che in questi anni, sono stati i più ambiguamente vicini a Putin?
È una pura coincidenza che il giorno delle definitive dimissioni di Draghi, le consegne di gas all’Italia da parte di Gazprom siano aumentate del 70%, da 21 a 36 milioni di metri cubi al giorno? Ovviamente non ci sono prove di un diretto intervento del pur attrezzato apparato russo di ingerenza nei sistemi politici occidentali, ma le coincidenze, specie se si pensa a quanto è avvenuto a Londra a Boris Johnson, diventano pensieri maligni.
E’ difficile però credere che questa crisi e le sue conseguenze siano avulse dal contesto internazionale, caratterizzato dal più grave squilibrio geopolitico, con epicentro l’Europa, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Rimane il fatto che dovrà essere chiaro a tutti gli italiani che quando a settembre si recheranno alle urne saranno chiamati ad una netta scelta di campo. Essa sarà tra chi ha considerato e considera quella subita dall’Ucraina un’ingiustificata aggressione, il che comporta di schierarsi con Kiev senza se e senza ma (fornitura di armi compresa) nell’ambito dell’alleanza europea e atlantica, e chi con nettezza o ambiguità, si è posto dall’altra parte della barricata. E a quel punto dipenderà dai cittadini elettori, decidere se restituire al Parlamento la prevalenza delle forze euro-atlantiste, o se riconsegnarlo, come nel 2018, a forze sovraniste.
Gli italiani, cui questo suicidio collettivo della politica non è affatto piaciuto, sono più sfiduciati che mai. Sia perché i partiti ancora una volta si propongono agli elettori secondo il vecchio schema bipolare, nel frattempo diventato bipopulista, già ampiamente fallito e sorretto dalla pessima legge elettorale attuale, che tutti hanno detto di voler cambiare e che però è rimasta tale.
Rimane, quindi, il fatto che questa legislatura riconsegna, alla prossima, l’impossibilità di assicurare al Paese governi stabili e duraturi, premessa fondamentale per dare solidità alla nostra economia, assicurare modernizzazione e garantire una collocazione internazionale decisa e dignitosa. E questo a prescindere dal risultato che uscirà dalle urne.
Perché potete essere certi che il 25 settembre accadrà una delle seguenti cose: non vincerà nessuno, e si riproporrà la necessità di trovare un super partes cui affidarsi, oppure, vincerà una delle due coalizioni, ma per fragilità intrinseca non sarà in grado di governare, stritolata dalla enorme complessità dei problemi, e quindi non durerà.
Senza un radicale ripensamento del sistema politico e una strutturale riforma istituzionale, ogni sforzo, anche quello del Superman di turno, sarà vano.
L’Italia ha bisogno di entrare nella Terza Repubblica, evitando di commettere gli errori che caratterizzarono la fine della Prima Repubblica. Va definitivamente archiviato il bipolarismo della Seconda, che per vent’anni ha prodotto il declino italiano, e che dal 2018 è diventato bipopulismo, la sua versione peggiore. Lo schema centro-destra contro centro-sinistra non ha funzionato, essendo basato sul presupposto non di aggregare forze omogenee ma di formare armate Brancaleone che hanno come obiettivo quello di battere elettoralmente la parte avversa. Questo meccanismo ha prodotto ingovernabilità fino al punto, nella sua ultima fase, di spianare la strada alla perniciosa ascesa del movimento 5stelle durati meno di quello che si poteva temere, ma tanto per far danno.
Ora vanno sottratti i moderati che non si riconoscono più in PD, in Forza Italia e nella Lega: occorre la riforma della legge elettorale (proporzionale, sbarramento al 5%), perché spingerebbe i partiti e le alleanze verso il centro, unendo riformisti e moderati. Ma rimodellare il sistema politico non basta se si omette di ridisegnare gli assetti istituzionali, bisogna creare macro-Aree (abolendo regioni e province) e bisogna soprattutto snellire la burocrazia centrale. Per farlo la strada maestra è quella di una Assemblea Costituente, che nel tempo massimo di un anno produca una riscrittura della nostra Carta Costituzionale. Ma manca la levatura degli attori politici.
Da qui al 25 settembre si può solo auspicare che anche questi temi siano oggetto della campagna elettorale, pur temendo invece che sarà la solita solfa inutile. Ma questo dipende un po’ anche da noi, dalla società civile, che deve comprendere la necessità di uno spazio politico liberale e repubblicano. Aree ideologiche letteralmente scomparse dal panorama politico italiano.