Intervento fin troppo duro quello di Carlo Bonomi, presidente nazionale di Confindustria, al Festival dell’Economia che si è svolto a Trento in questi giorni. Il presidente Bonomi, infatti, sottolinea come il bonus una tantum di 200 euro stabilito dal Governo Draghi rischi di rivelarsi misura insufficiente per le famiglie e le imprese, in quanto il relativo (scarso) importo verrebbe già dilapidato alla prima bolletta. In questo drammatico momento storico, ben altro dovrebbe essere infatti messo in campo per scongiurare crisi che potrebbero rivelarsi fatali.
Pur non volendo minimamente sottovalutare il grido d’allarme del presidente degli industriali, è pur vero che l’intenzione del Governo Draghi è sicuramente apprezzabile anche in considerazione del fatto che le risorse sono poche e che presto dovremo ricominciare a monitorare conti pubblici e a confrontarsi con Bruxelles. In sintesi, insomma, sul punto specifico il presidente di Confindustria ha al tempo stesso ragione e torto ma di sicuro la sua provocazione potrà servire al Governo per attrezzare nuove e diverse (possibilmente migliori) soluzioni.
Il tema reale e preoccupante – che, invece, Bonomi coglie perfettamente – è l’assenza di misure strutturali per far fronte nel medio e lungo periodo a una situazione non certo facile per la nostra economia. E tale mancanza strategica è assai più grave dell’esiguità dell’importo del bonus. Draghi non è Conte e sbaglierebbe se volesse risolvere i problemi nello stesso modo del predecessore, a suon di mance ma senza interventi strutturali. Ad esempio – per rimanere a Bonomi – il tema del costo del lavoro e della sua onerosità. L’Italia è stabilmente agli ultimi posti nelle classifiche dei paesi di area OCSE per eccesivo costo del lavoro. Da anni ormai, nel dibattito pubblico se ne parla, ma soluzioni incisive non sono state mai messe in campo. Ecco, il Governo Draghi, forte anche del prestigio personale del premier nei consessi europei, dovrebbe quantomeno tentare di impostare delle soluzioni per restituire un rapporto più equilibrato e remunerativo per il lavoratore tra lordo e netto in busta paga, sgravando l’impresa da oneri inutili.
D’altra parte se ormai dal 2018 continuiamo a finanziare misure assai costose e al contempo improduttive, forse una revisione delle priorità di intervento sarebbe pure opportuno realizzarla per liberare risorse che potrebbero essere meglio investite. Il tema è abolire Quota 100 e Reddito di cittadinanza? No. Il punto è ricalibrare l’intero sistema in modo strutturale secondo una visone che vada oltre l’immediato presente. Difficile con l’approssimarsi della campagna elettorale – ci rendiamo conto – cionondimeno necessario per l’Italia.
Sul tema dice la sua pure Landini, segretario CGIL, il quale pur riconoscendo che il bonus di 200 euro è pur qualcosa sebbene non sufficiente, propone l’erogazione di una intera mensilità per il lavoratori sotto i 35mila euro di reddito lordo. Quindi, il punto per Landini non è la misura sbagliata ma solo l’importo troppo basso. Ci dicesse poi il segretario CGIL dove intende recuperare le risorse per finanziare la sua geniale trovata non sarebbe male, visto che si tratterebbe di un finanziamento non proprio esiguo, che non è possibile operare in deficit e che un eventuale aumento di tasse sarebbe deleterio per tutti. L’impressione è che, come spesso accade in queste occasioni, parte del sindacato dimostri di essere talmente lontano dalla realtà che si fatica anche a riconoscergli un ruolo di reale difesa del lavoro. Siamo fermi ancora alla redistribuzione di una ricchezza che – piccolo particolare – andrebbe prima creata.
Altro tema caldo al Festival dell’Economia è quello del salario minimo, cavallo di battaglia del centro sinistra che però non sa tradurre la propaganda in proposte concrete. Conte (con ciò trovando sponda nel Pd e in Leu), vorrebbe l’imposizione di un valore fisso nazionale e, da par suo, ne fa oggetto di propaganda populista. “Se per alcuni politici è normale che si prendano paghe da fame, di 3-4 euro lordi l’ora, allora diciamo che la politica del Movimento 5 Stelle non è questa” urla ai quattro venti, ignorando che la situazione è leggermente più complessa di uno slogan.
Ovvietà che nemmeno Salvini pare aver colto, poiché ritorna come un disco ormai rotto sul sogno irrealizzabile della flat tax, sostenendo che se l’impresa deve pagare meno tasse ha maggiori possibilità di pagare stipendi decenti. Questo novello monsieur Lapalisse dimentica al pari dell’avvocato del popolo e di Maurizio Landini di indicarci come realizzare la misura anche qui senza far deficit (visto che vorrebbe anche mantenere quota 100) e far tornare i conti erariali.
Se con Landini siamo ancora in pieno 900, con i populisti sociali siamo rimasti all’abolizione della povertà (e delle tasse), che evidentemente tanto abolita non è, visto che il cosiddetto popolo è in sofferenza da almeno 3 anni.
Ma, tralasciando Conte e Salvini e le loro trovate, non possiamo nascondersi che il problema esiste, e che il come affrontarlo può avere molteplici vie. Senza voler eccedere in tecnicismi, basta rimanere all’alternativa ventilata dal responsabile economia di Italia Viva: imposizione di un minimo nazionale, con largo spazio alla contrattazione territoriale, o stabilire per legge il salario minimo valido su tutto il territorio e azionare una politica repressiva contro i contratti pirata? Già ben impostare la risposta a questa domanda, ci proietterebbe in un ventaglio di soluzioni di cui sicuramente poter discutere.
Francamente, l’idea che i problemi in questo paese debbano essere risolti ricorrendo perennemente a nuove leggi e, soprattutto al terrore della sanzione è una prospettiva che non convince e che, soprattutto non funziona. Oltre ad allontanarsi da una concezione liberale (attenzione non necessariamente liberista, né, a maggior ragione, ultraliberista) dell’economia e da quella di una politica che costruisce soluzioni e non tintinna le manette. Invero, in un contesto produttivo quale quello italiano fatto di molteplici e diverse realtà sia produttive che territoriali l’imposizione dall’alto di un parametro nazionale se assolve alla funzione di uniformità di trattamento, non rispecchia bene la effettiva realtà italiana. Probabilmente, fermi alcune soglie inderogabili valide per tutti, una valorizzazione delle differenze mediante approcci diversi, possa avere efficacia maggiore ma, ovviamente, il dibattito è aperto e, come ha dimostrato la vivacità del Festival trentino, fecondo su diverse ipotesi.