Gli attuali sostenitori dell’ideologia liberale sembrano mostrare un atteggiamento sorprendente di indifferenza nei confronti di ciò che appare come una sorta di “dossieraggio” nei confronti dei magistrati, utilizzato dal vicepremier Matteo Salvini per scrutare le loro opinioni e forse persino i loro gusti nella moda, simile a quanto accadeva durante l’era di Berlusconi. Allo stesso tempo, sembrano sentirsi minacciati solo dalle toghe “politicizzate”, ma solamente se queste sono “rosse”.
D’altra parte, ci sono i liberali d’un tempo, come Piero Calamandrei, che mettevano in guardia sull’influenza del clima politico sulle decisioni dei giudici e sulla loro indipendenza, soprattutto quando si diffondono liste di proscrizione contro i magistrati sospettati di simpatie comuniste. Calamandrei sottolineava che quando si respira un clima di disfattismo costituzionale, diventa più difficile per i giudici assumere il compito faticoso e spesso pericoloso di difendere la Costituzione dagli abusi del governo.
Gli attuali sostenitori del liberalismo sembrano considerare il tweet della presidente del Consiglio Meloni come un semplice “commento”, nel quale lei non si limita a dichiarare di essere “sorpresa dalla sentenza del giudice di Catania”, ma usa toni da dichiarazione di guerra sostenendo che questa decisione si oppone ai provvedimenti di un governo democraticamente eletto e annunciando che continueranno a difendere la legalità e i confini dello stato italiano senza paura. D’altra parte, i liberali del passato denunciavano il pericolo del “conformismo giudiziario, dell’indifferenza burocratica e dell’irresponsabilità anonima” dei giudici, spiegando che una sentenza non è il risultato di un calcolo matematico, ma la conclusione di una scelta morale, e sottolineavano che i giudici devono essere indipendenti e guidati solo dalla loro coscienza.
La differenza tra i liberali di ieri e di oggi sembra abissale e non più un baluardo politico e culturale contro l’ingerenza del governo di destra nei confronti dei giudici e degli organi di controllo in generale. Non è necessario avere squadre armate per essere preoccupati; quanto accaduto finora è sufficiente, con schedature di giudici e di altri non allineati alla cultura di destra che ricompaiono periodicamente. Questo è già successo a molti colleghi, e se questa tendenza di accondiscendenza verso la cultura illiberale continuerà, succederà ancora. La parola d’ordine sembra essere minimizzare la reazione del governo o addirittura accusare i giudici di fare politica, un’accusa vuota e dannosa che non contribuisce a una necessaria riflessione critica sugli eventi di quegli anni, ma solo a confondere i cittadini e a minare gradualmente la democrazia nel disinteresse generale.
Questa distanza è evidente anche rispetto a quanto accadeva nelle piazze d’Israele, dove la popolazione ha protestato per mesi contro la riforma della giustizia del governo Netanyahu e a favore della Corte suprema. Al contrario, non abbiamo visto proteste simili in Polonia e Ungheria, due paesi alleati della destra italiana, dove i governi “democraticamente eletti”, come li definisce Meloni, hanno eroso il principio dello stato di diritto, attaccando i giudici e minando la loro indipendenza.
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Il giudice di Catania viene accusato di non essere stato imparziale, e la prova principale sembra essere un video emerso recentemente, che lo mostra in una manifestazione del 2018 per far sbarcare i migranti a bordo della nave Diciotti, anche se in silenzio e in modo vigilante. L’imparzialità del giudice è un valore fondamentale che deve essere rispettato in ogni circostanza, e non solo formalmente. Calamandrei insegnava che i giudici devono apparire imparziali poiché non ci sono divieti legati alla libertà di espressione del pensiero. Tuttavia, spetta al giudice valutare l’opportunità dei suoi comportamenti con cautela. Va notato che nel XXI secolo, in un’epoca in cui tutto diventa pubblico, non possiamo pretendere che le persone restino chiuse in casa e nascondano la loro imparzialità, trasformando questo valore in una clava da usare contro chi è più trasparente degli altri nei comportamenti legittimi, senza ipocrisia, consapevole che l’imparzialità, l’indipendenza e l’equità sono valori che devono essere esercitati quotidianamente nel giudicare le vicende umane.
Calamandrei stesso sottolineava che il giudice deve essere un “uomo sociale”, coinvolto nella società e non isolato in una torre d’avorio. Tuttavia, questi giudici vengono ora etichettati come “nemici” della nazione e della sicurezza, un’accusa impropria e un tono bellicoso che sfugge al controllo. È preoccupante perché il tono fa la differenza, soprattutto quando giudici di chiara fede culturale, politica e religiosa vengono arruolati nel governo per incarichi di fiducia. La credibilità di un governo che mette alla berlina il giudice di Catania, accusandolo di mancare di imparzialità, ma che include nel suo organico un giudice di Cassazione con un passato di militanza politica nelle file di Alleanza Nazionale, viene messa in discussione. Tuttavia, quel giudice è stato rispettato nella sua imparzialità, come dovrebbe essere. Questa è la bellezza della democrazia costituzionale, ma questa regola dovrebbe valere per tutti.
Le parole dei vecchi liberali come Calamandrei sono un rifugio nel deserto culturale che sta soffocando il nostro paese. Lo stesso vale per le parole di altre figure storiche che hanno contribuito alla politica, alla cultura e alle istituzioni italiane.