“Si può far finta che non ci sia niente, anche quando ti tremano le gambe”, cantava Vasco Rossi in “Buoni o cattivi”. E, in un certo senso, a riavvolgere il nastro, si può guardare al discorso del presidente del consiglio Mario Draghi al Meeting di Rimini come non soltanto un bilancio delle cose fatte finora, ma come un elenco di quel che resta da fare (e non fare). Il premier non ha citato nessun partito, non ha manifestato alcun livore per i leader che l’hanno fatto cadere, ma passando in rassegna tutte che le cose stavano funzionando, ha centrato di fatto i punti deboli delle segreterie, smuovendo le acque già agitate in cui nuotano Meloni, Salvini e compagnia bella. Non ha parlato di “buoni o cattivi”, si capisce. Draghi non si è posto come un capoclasse pronto a scrivere sulla lavagna i nomi di chi si è comportato male e di chi ha agito bene, tra le righe però ha bocciato alcune proposte che caratterizzano i programmi elettorali. Nello specifico, Draghi ha lanciato numerosi segnali a Giorgia Meloni ed Enrico Letta, che in un certo senso son quelli che più degli altri credono di avere la vittoria in tasca. Così dicono i sondaggi, ma i proverbi ci insegnano altro: non bisogna vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso.
“Al cospetto del Meeting Draghi non condanna putiniani e antieuro, ma esalta atlantismo ed Europa. Difende l’Ucraina. Non boccia gli amici delle lobby dei tassisti e dei balneari – o i fan del condono fiscale – ma esalta concorrenza, lotta all’evasione e riforma del catasto”, scrive Tommaso Ciriaco su «La Repubblica». Il premier c’è andato giù pesante contro chi si ostina a non garantire collocazione internazionale e riformismo pragmatico. “Draghi sceglie di dividere i destini della destra, perché promuove l’atlantismo e boccia il filoputinismo. Da una parte Meloni, dall’altra Salvini. C’è la Lega del segretario – quella antieuro, protezionista, autarchica – e il Carroccio dei governatori del Nord. E sempre a Salvini (e a Berlusconi, l’altro artefice della sua caduta), riserva una stoccata: era giusto riformare il catasto e opporsi a ogni condono”, rimarca Ciriaco. Ad uno uno ad uno l’ex dirigente della Bce, come dicevamo, ha smontato alcuni dei tratti salienti dei programmi dei partiti, in particolare quello del centrodestra: dalle sanzioni russe alla rinegoziazione del Pnrr, fino alla flat tax. Nel suo eloquio Draghi non ha citato mai neppure il suo predecessore Giuseppe Conte e i grillini, ma evidentemente pensava a loro quando ha detto che le riforme intraprese dal governo da lui presieduto non sono state completate perché il MoVimento si è messo per traverso, influenzato dai sondaggi e dai commenti sui social.
Una stoccata è arrivata anche al Pd di Enrico Letta, che proprio al Meeting di Rimini aveva proposto una decisione autonoma italiana per imporre prezzi amministrati dell’energia per un anno, senza attendere un intervento coordinato europeo: «La proposta per il tetto ai prezzi verrà presentata al prossimo consiglio europeo, insieme a quella di svincolare il prezzo dell’energia elettrica da quello del gas». È vero poi che Draghi ha bocciato le posizioni sul piano internazionale di Salvini e Meloni proprio perché «protezionismo e isolazionismo non coincidono con il nostro interesse nazionale», ma ha fatto capire (ed è chiaro il riferimento al Pd) che insistere in campagna elettorale sul pericolo fascista è inutile perché l’Italia è al centro dell’Unione Europea e del Patto Atlantico. In altri termini l’Italia resta un paese convintamente democratico. A pochi minuti dalla fine del discorso tenuto da Draghi a Rimini è arrivato il commento di Carlo Calenda, che con il suo terzo polo spera di riportare l’economista alla guida del Paese. «Questa persona, il suo impegno, il suo metodo, la sua autorevolezza non possono andare perduti. E noi ci batteremo con le unghie e con i denti affinché non accada. Punto», ha detto il leader di Azione. Ci riuscirà? Il programma presentato dal terzo polo sembra il solo incarnare pienamente l’agenda Draghi.