Destiniamo i beni russi confiscati alla ricostruzione dell’Ucraina

“Personalmente sono assolutamente convinto che sia estremamente importante non solo congelare i beni ma anche renderne possibile la confisca per metterli a disposizione del Paese in ricostruzione. Ne sono personalmente convinto”. Lo ha detto il presidente del Consiglio europeo Charles Michel all’Interfax Ucraina, e ha ragione da vendere.

Al settantunesimo giorno di guerra, l’Ucraina è un Paese martoriato, con città fantasma rase letteralmente al suolo dai soldati di Putin. Il presidente Zelensky nei suoi interventi dice spesso che l’Ucraina risorgerà più forte e bella di prima, ma ci vorranno tempo e soldi, tantissimi soldi. Per questo la proposta di Michel non può che essere sposata.

Anche l’amministrazione Biden si è già mossa in tal senso: il 28 aprile scorso, il presidente americano aveva convocato il Congresso, avanzando la richiesta di vendere i beni sequestrati agli oligarchi russi per aiutare l’Ucraina.

La gestione dei beni congelati agli oligarchi russi, tra l’altro, ha costi elevatissimi ed è all’origine di non pochi mal di pancia nell’Esecutivo: tra ville e yacht, c’è da amministrare un capitale da 953mila euro (secondo stime del Sole 24 Ore) che, nei rendiconti della Ragioneria dello Stato, sta facendo lievitare la spesa per la manutenzione a valori allarmanti. Venderli o attuare il diritto di ritenzione – che consente allo Stato di trattenere e disporre da subito di queste proprietà se i destinatari delle misure non saldano il conto – sembrano le uniche soluzioni.

Per questo il Governo sta valutando un aggiornamento del decreto legislativo 109/2007, la norma che attua in Italia le sanzioni disposte dall’Unione europea nei confronti dei fedelissimi dello “zar” Vladimir Putin, finiti nella black list Ue.

Il problema di fondo è che il decreto 109 è stato emesso per arginare i rischi connessi al finanziamento al terrorismo. Una norma che è sempre stata utilizzata per “congelare” e affidare alla gestione dell’Agenzia del Demanio beni, nella maggior parte dei casi, di modesta portata, come conti correnti o piccole società: un’amministrazione poco dispendiosa, che in via residuale consente anche la vendita. Ma le valutazioni giuridiche che si stanno svolgendo in queste ore escludono che il decreto possa permettere la cessione di proprietà di così alto valore: il rischio di ricorsi per milioni di euro è concreto.

In questo senso il Governo vuole mettere mano al decreto: un aggiornamento che permetta di non far ricadere sul bilancio dello Stato tutti questi costi, che inevitabilmente rischierebbero di vanificare gli effetti dei “congelamenti”. Una via, stando ai ragionamenti preliminari, potrebbe essere proprio il diritto di Ritenzione, che consentirebbe all’Agenzia di amministrare questi beni con più poteri e senza spese elevate, potendo anche venderli o affittarli.