Dal palco al fronte: storia di Andriij Khlyvnyuk, l’uomo che ha riunito i Pink Floyd

Una mattina si è svegliato, ha imbracciato il fucile e in piazza a Kiev, davanti alla cattedrale di Santa Sofia, ha intonato “Oy u luzi chervona kalyna”, che in breve è diventato l’inno della resistenza ucraina, cantato in ogni parte del mondo come sostegno al paese invaso dai russi.

Andriij Khlyvnyuk, il cantante leader del gruppo hip-hop BoomBox, molto popolare in patria e con oltre 100 milioni di visualizzazioni su Youtube, ha poi posato il microfono e si è arruolato per difendere Kiev dall’esercito di Putin. Ma la sua versione di “Oy u luzi chervona kalyna”, virale praticamente ovunque, ha smosso le coscienze del mondo. Anche quelle di mostri sacri del rock mondiale come i Pink Floyd. Che dopo 28 anni sono tornati insieme per incidere “Hey Hey Rise Up” proprio sulle note della canzone patriottica intonata da Khlyvnyuk, vale a dire l’inno dei fucilieri Sich Halych- Bukovyna Kurin, unità popolari che lottavano per l’indipendenza dell’Ucraina durante la Prima Guerra Mondiale e fino al 1921.

Andriij Khlyvnyuk ha 42 anni, è nato a Cherkasy ed è probabilmente la rock star più popolare in Ucraina. La musica dei BoomBox prima del 24 febbraio scorso era molto ascoltata anche in Russia. “Quando Putin ci ha invaso, avevo in programma un tour negli Stati Uniti – racconta a Repubblica -. Due giorni prima avevo riempito il teatro di Mariupol con un concerto. Non ci ho pensato un attimo, sono tornato e mi sono unito alla polizia di Kiev. Pattugliamo la città per 24 ore, le successive 24 ore riposiamo. Abbiamo a disposizione veicoli blindati, team di fucilieri, granatieri e cecchini. Il giorno in cui Zelensky ha annunciato la mobilitazione totale, ho giurato a me stesso che non avrei lasciato il mio Paese. Sono una fottuta rock star, avrei potuto andarmene ovunque. Per strada la gente mi riconosce e mi chiede: ‘Perché non sei alle Maldive?’. Rispondo che ho dimenticato i biglietti dell’aereo a casa perché sono uscito di corsa per presentarmi ai volontari. Basta un selfie e mi fanno passare ai check-point, a volte penso che la polizia mi abbia preso solo per questo!”.

“Un deejay sudafricano ha fatto un remix della canzone che ho cantato in piazza, chiedendo il permesso ai miei avvocati e in pochi giorni in royalties ha guadagnato 20mila euro – racconta ancora la star ucraina, che il 26 marzo è stato colpito al volto da alcune schegge ma ha continuato a combattere anche ferito -. Ogni volta che qualcuno l’ascolta, arrivano soldi al nostro esercito. Se ho catturato dei sabotatori? Meglio che non me lo chiedete, magari la risposta non la volete sentire… comunque no”. Anche gli altro componenti del suo gruppo si sono arruolati contro i russi. “La bassista cucina in un rifugio per gli sfollati, il chitarrista è volontario in una stazione ferroviaria dell’Ovest, il batterista è nelle forze di Difesa territoriale, il mio producer è al fronte e il manager dei tour internazionali era a 25 chilometri a nord di Kiev per la controffensiva – racconta ancora Khlyvnyuk -. È un lavoro come un altro. Indiani di un’altra tribù sono venuti a casa nostra per prendere la nostra terra e le nostre donne, li uccideremo e ricominceremo con la nostra vita di prima. Cosa penso della guerra? È come essere nella bella e pulita Toscana, sei lì che cammini col tuo paio migliore di sneakers e gli occhiali da sole, e poi all’improvviso ti ritrovi in mezzo alla merda. Ecco cosa penso. Riusciremo a ripulirci le scarpe con l’acqua pulita, ci vorrà tanto, sopporteremo un altro inverno e un’altra primavera in queste condizioni”.

La sua famiglia è riuscita a mettersi al riparo all’estero, ma lui resta in prima linea. “Talvolta riusciamo ancora a ridere, nonostante tutto. Humor un po’ dark, però almeno non piangiamo – conclude il rocker -. Ho visto i nostri soldati in trincea leggere i classici della letteratura russa e giocare a scacchi, per dire. Non ha senso cancellare la cultura russa, è parte dell’eredità mondiale. Non dobbiamo alzare muri culturali perché non funzionano. Al massimo possiamo bandire chi, tra gli artisti di oggi, supporta il regime del Cremlino. Ma lasciamo stare i classici. Non siamo in guerra contro Dostoevskij o Puskin, siamo in guerra contro Putin”.