Craxi, Berlusconi e il sogno dell’alternanza: un’indagine storica

Quarant’anni fa. Era il tempo di Reagan e Berlinguer.

In quel tempo Bettino Craxi denunciò come il consociativismo DC-PCI bloccava il normale processo democratico. La definì “democrazia bloccata” e che di fatto il continuo compromesso tra i due più grandi partiti impediva l’alternanza di governo.

Craxi nel perseguire l’obiettivo della democrazia dell’alternanza aveva individuato un passaggio istituzionale “chiave”: – La elezione diretta del Presidente della Repubblica. Questo permetteva di superare l’idea di un Presidente garante di quella unità nazionale di fatto costruita sul consociativismo DC-PCI.

Craxi visionario e stretto dai due “giganti” a pagato con l’esilio e la morte in terra straniera tale lungimiranza.

Tralascio il fallimento di Berlusconi che attraverso la sua discesa in campo si poneva lo stesso obbiettivo.

Quello che voglio sottolineare è l’analogia con il nostro tempo e come il bipopulismo sovranista sia una forma di consociativismo che blocca il sistema democratico. Non è il normale avvicendamento tra destra e sinistra e conseguentemente due visioni di società alternative.

È il condividere davanti al passaggio epocale del nostro presente determinato dalla globalizzazione e dalla digitalizzazione la logica della decrescita felice per difendersi dalle insidie inedite insite in tali processi che nella loro visione contorta spostano la logica del conflitto tra “poteri forti” e popolo.

La classica frase tanto cara alla sinistra ma anche a frange liberaldemocratiche: unirsi contro la destra, è irrilevante in quanto espressioni della stessa cultura conservatrice, qui il termine è corretto, di difesa dello stato quo.

Ci possono essere sbavature come per esempio sulla strage di Bologna ma poi la difesa del corporativismo, l’odio verso la proprietà privata, la patrimoniale (ultima chicca di questo governo), ostilità a tutto ciò che può fare riferimento alla cultura liberale, sono i tratti salienti di questo nuovo compromesso consociativo.

Il Presidente, in questo contesto, di cosa è garante? Dell’unità del Paese? No! Per il semplice motivo che non può intervenire in alcun modo sul sistema politico e quindi non può impedire che il 50% del Paese è escluso dalla vita politica per assenza di riferimenti obbligandolo di fatto a rifugiarsi nell’astensionismo e sperando che gli eredi di Almirante e Berlinguer non facciano danni irreparabili.

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È garante di questa democrazia bloccata e monca. Certo ci può mettere una pezza come è successo con Monti e Draghi ma allora il suo ruolo diventa quello di guardiano dell’incapacità altrui a governare rendendo palese come l’impianto valoriale e istituzionale della nostra costituzione non abbia più corrispondenza con il cambiamento epocale del nostro presente.

Il cambiamento epocale si ha quando siamo in presenza di un nuovo sistema di relazioni fra gli individui e fra questi e la società ma questo impone nuovi linguaggi e atteggiamenti che indiscutibilmente devono partire da un nuovo impianto costituzionale che non può essere circoscritto dalle modalità di elezione del presidente del consiglio, dalla sfiducia costruttiva, dal superamento del bicameralismo ormai imperfetto.

È sempre più urgente definire il nuovo impianto valoriale liberale che chiuda con il compromesso cattocomunista ancora oggi in atto e che rappresenta le radici del bipopulismo destro sinistro, per definire il nuovo patto fondativo di cui, questo si, il Presidente della Repubblica ne deve essere il garante.

L’elezione diretta del Presidente della Repubblica non può essere rigettata a priori e per giunta con motivazioni sempre più puerili in quanto fanno riferimento più al passato da cancellare definitivamente che al presente della nostra storia.

La ricerca dell’alternativa al bipopulismo deve partire dalla riscrittura della carta costituzionale ma ci vuole una figura costituzionale che ne sia artefice e garante.

È arrivato il momento di pensare ad un Macron.