Conte lo sfascista diviso tra i barricaderi M5S e i rischi di un Papeete2

Un leader senza leadership, un movimento senza guida politica, una serie di parlamentari che procedono in ordine sparso. Uno da un bel pezzo non vale più uno, e all’interno del Movimento cinque stelle siamo ormai allo psicodramma, con l’avvocato del popolo Giuseppe Conte diviso tra le pressioni interne dei barricaderi pentastellati, che vogliono rompere col Governo Draghi, e la necessità di non fare la fine di Salvini con lo strappo del Papeete, che poca fortuna ha portato al Kapitano leghista.

Conte lo sfascista, generale di un esercito con truppe disorganizzate e male addestrate, sa che dopo la scissione di Di Maio il consenso rimastogli si assottiglia sempre di più, e che quindi deve tentare un colpo di coda per saziare le belve populiste che ancora credono alla “riovoluzione a cinque stelle”, ma è anche consapevole che portare il peso dell’onta di aver mandato a casa il Governo Draghi in uno dei momenti storici più difficili per il Paese potrebbe costargli caro. Carissimo.

E allora che fa, l’avvocato del popolo? Dopo lo strappo di ieri al Senato, la richiesta di una verifica da parte di Berlusconi e la vista al Colle di Mario Draghi, attende da quest’ultimo segnali per ricucire (sul salario minimo, sul superbonus o sul taglio del cuneo fiscale) e per salvare la faccia. Ma Conte sa di non governare più i suoi parlamentari, alcuni tentati dal passaggio agli scissionisti e altri (per lo più senatori) pronti a votare no alla fiducia giovedì prossimo anche se arrivasse il diktat in extremis per il sì.

Insomma, la situazione è ingarbugliata e l’esito imprevedibile. Soprattutto perché all’avvocato del popolo la situazione è sfuggita di mano e dopo ver innescato la miccia ora non sa più come spegnerla. Si muove su un campo minato dove il rischio di saltare in aria è dietro l’angolo. Un escamotage per non strappare con Draghi potrebbe essere quello di far votare la fiducia, e contemporaneamente il DL Aiuti, ad una parte dei senatori M5S, permettendo così ai dissidenti più intransigenti di uscire dall’aula. Ma Draghi è stato chiaro: il governo non va avanti senza il Movimento. Sullo sfondo resta la richiesta di “verifica” (leggi “rimpasto”) di Berlusconi, a cui si è accodato Salvini. Ma il tempo stringe e Conte non sa più che pesci pigliare.