Niente, non è rimasto assolutamente niente.
Del cinquantenne bonario autoproclamatosi “avvocato del popolo italiano”, di quel “Giuseppi” che evocava persino tenerezza sebbene evocato da una personalità come Donald Trump, del compagnone che davanti a una birra raccontava l’Italia a un’Angela Merkel che lo ascoltava assorta, del presidente del Consiglio che annunciava i lockdown accarezzando con le parole i titolari dei “negozi di prossimità” e promettendo loro “i ristori che arriveranno”, di tutto questo resta adesso poco o nulla. Giuseppe Conte ha mandato in fumo i sogni di ex dc devoti come Gianfranco Rotondi e Bruno Tabacci, che erano certi di costruire attorno a lui uno Scudo crociato nuovo di zecca. Il leader del Movimento 5 Stelle è diventato una specie di Mr Hyde di se stesso, “con movenze stilistiche che ricordano tanto il Matteo Salvini che si avvicinava pericolosamente al Papeeete”, osserva oggi Tommaso Labate sul Corriere della Sera.
Che abbia tutte le ragioni del mondo, come sostengono gli amici, oppure che non ne abbia neanche mezza, come ripete la pletora di nemici, il Giuseppe Conte delle ultime settimane abbandona la strada di quel “governismo dolce” quasi oltre i limiti del buonismo, che ne aveva accresciuto gli indici di popolarità prima, durante e anche dopo l’esperienza di Palazzo Chigi; e veste i panni del barricadero socio di una maggioranza di governo che passa il tempo a tenere l’esecutivo sul filo del rasoio, minacciando dietro le quinte l’appoggio esterno salvo poi smentirlo (ieri), ventilando voti contrari che all’ultimo minuto diventano a favore (nell’ultima risoluzione sull’Ucraina), appiccando politicamente incendi che forse si spengono e forse no, di certo lasciano cenere e macerie.
Il vero problema di Conte, comunque, non è Draghi, in realtà, ma un altro Beppe. “Se Grillo avesse dato il via libera al terzo mandato dei parlamentari, le nuove tensioni tra il M5S e il governo sarebbero riesplose semmai dopo l’estate”, ha raccontato un ministro rimastogli amico al Corsera. “Tenere sulla corda il presidente del Consiglio e l’esecutivo, a cui Grillo tiene tantissimo, è l’ultima strada per provare ad avere finalmente mani libere da capo politico”.
Ma Conte non tornerà a essere “il punto di riferimento dei progressisti”, com’era stato salutato anche nel Pd, e forse rischia una fine politica da Totò Schillaci nei Mondiali di calcio del ’90, eroe indiscusso di una grande partita finita male.