putin donbas

C’è rimasto Salvini a pensare che Putin ha un futuro

Nuovo tweet dai tratti antioccidentali di Matteo Salvini. Il capitano sovranista giudica “gravissima” la linea dura scelta dagli angloamericani contro Putin. L’idea che l’invasore possa essere ricacciato indietro fuori dai confini della Ucraina, a quanto pare disturba Salvini che se la prende con “chi lavora per la guerra”. La Lega invece naturalmente. “lavora per la pace”. Biden e Johnson stanno  preparando “un pessimo futuro per i nostri figli”.

Si possono fare due considerazioni sul nuovo corso del Salvini pacifista che però, come ricorderanno i nostri elettori, è iniziato piuttosto male durante il viaggio in Polonia. La prima considerazione è che con la sua comunicazione social Salvini ha ripreso a raccontarci le solite post-verità, come all’epoca della “invasione dei migranti”. Ora l’ambiguità sta tutta nel fatto di rovesciare le responsabilità del regime russo nello scatenare una guerra, e le corresponsabilità morali del sovranismo che tubava con Putin, addossando agli alleati di Zelensky la colpa di un’eventuale prosecuzione del conflitto. Peccato che ormai lo sanno anche i bambini chi ha invaso l’Ucraina.

Espungere il nome di Putin da tweet e post su Facebook è una tecnica di gaslighting che Salvini usa per confondere fan, osservatori  ed elettori. La seconda considerazione è di natura geostrategica e riguarda il motivo per cui Washington e Londra non abbassano il tiro con Mosca, anzi, chiedono ulteriori inasprimenti delle sanzioni, mentre BoJo sembra pronto a mandare veicoli corazzati inglesi a Mariupol per facilitare l’uscita dei disperati che ormai da un mese vivono sotto le bombe di Putin. Vivono, muoiono, vengono rilocalizzati, peggio deportati, e tutto questo alla faccia del futuro che Salvini vuol dare ai nostri figli.

La ragione per cui Biden e Johnson non mollano è che bisognerebbe chiedersi se davvero questa guerra finirà in un disastro per Putin o se forse l’obiettivo del Cremlino anche al costo di perdere generali e soldati in grande quantità, affossando la economia russa, non fosse fin dall’inizio un altro: ovvero spezzare in due l’Ucraina, prendersi l’est ucraino ricchissimo di materie prime (con la scusa della denazificazione del Donbas) e poi aspettare che a Kiev arrivi un Orban di turno, più malleabile di Zelensly, con il quale riprendere a fare affari e a vendere gas.

Il problema è che Putin ormai è un paria della comunità internazionale. Il Cremlino appare la cupola degna di  uno stato-mafia che invade Paesi sovrani, usa il gas come ricatto, infligge una ulteriore stretta interna contro la dissidenza russa e la opposizione al regime. Con personaggi del genere non si può più dialogare. Tanto più che quella che doveva essere una trionfale marcia su Kiev  è diventata una costosa e sanguinosa guerra di posizione per prendersi il Donbas e altri territori sul mare che i russi evidentemente pensano gli saranno  concessi come fu a suo tempo con la Crimea. Stavolta però non può e non deve esserci un futuro per Putin. La guerra bisogna vincerla. Con o senza Salvini.