Carceri, non servono più “uomini”. Serve più “umanità”

Leggiamo in questi giorni di più suicidi nel carcere di Torino, istituto di pena affollato come del resto altri nel Paese. Il periodo estivo è senz’altro il più a rischio, per le calde temperature e per la diminuzione, se non la totale sospensione, delle offerte di trattamenti sicuramente in atto in altri momenti dell’anno.

Colpisce la vicenda della donna che ‘si è lasciata morire’ rifiutando, parrebbe non per protesta, di fame e sete. Ma come è possibile? Affidata alla custodia e quindi -deve esser chiaro – alla cura dello Stato! Si legge che fosse pure sottoposta al controllo di telecamere.

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Allora, ancora di più dobbiamo chiederci: ma come é possibile? La dirigenza, il personale di custodia, gli operatori del trattamento, i sanitari…davvero nessuno si è interrogato? Davvero nessuno ha ritenuto di avvisare il garante, il magistrato di sorveglianza, i servizi esterni? Sarebbero potuti intervenire per provare quantomeno a deviare un destino che alla fine, nella solitudine, è diventato ineluttabile.

Negli istituti di pena, forse, non c’è bisogno di più operatori, sempre denunciati come pochissimi dalle organizzazioni di categoria nonostante le assunzioni di poliziotti nel tempo, o dell’esercito come addirittura si è letto, ma di ‘umanità’, di attenzione cioè al più debole che, non si deve mai dimenticare, è nel mandato della Costituzione e dell’ordinamento penitenziario.

Non è solo garantire la sua custodia, in modo che non nuoccia o disturbi più, ma assicurare la dignità della persona e, mezzi permettendo, quelli sì davvero pochi, il suo recupero alla società, precedentemente ferita dal crimine.