Cambia il nome, non la sostanza: arriva il paternalistico e biblico salario equo

Il salario minimo non andava bene. E quindi? E quindi spunta il salario equo. Nella normale alternanza di visioni politiche ci sono due modelli, anche e soprattutto economici, contrapposti. La battaglia sul salario minimo era forse l’unica che radunava, a parte qualche più attento economista di sinistra come Boeri, coloro che fanno opposizione al governo Meloni. Inoltre sapeva di Sinistra come invocava Nanni Moretti nel film “Aprile”. Sembrava quasi che il gabbiano rattrappito senza l’illusione del sogno di Gaber si stesse accingendo al decollo. Certo c’era qualcosa di riduttivo, la stessa parola ‘minimo’ non è proprio trasognante, sapeva di uovo oggi rinunciando alla gallina domani. Ma era meglio dell’odiato, dai sinistrorsi, Jobs Act. Sapeva del profumo antico delle battaglie sindacali del film Novecento di Bertolucci. Ma il crudelissimo CNEL del piccolo Brunetta lo ha bocciato miseramente, con forse una sottile e sottaciuta soddisfazione dei sindacati maggiori. Se il salario viene regolamentato per legge a che serve la contrattazione?

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Niet salario minimo uno penserebbe, perché la destra capitalista non vuole. E che fa la Meloni? Lo resuscita, forse, con un diverso approccio narrativo. Si chiamerà salario equo. Qualcosa di più paternalistico e biblico, come il salario del padrone della vigna che dava nella parabola talenti differenti agli operai, meno di sinistra. in cui il Padrone buono viene incontro alla classe operaia se si comporta bene, ovviamente. Una visione classica, canonica, da destra sociale, quella in cui si riconosceva la premier prima della nascita di Fratelli d’Italia. Quella che fa stare insieme Alemanno e Marco Rizzo per intenderci. Praticamente destra e sinistra, entrambe, rifuggono il liberalismo, ed hanno la stessa concezione economica. Ma lo story telling deve essere diverso. Se no, che li votiamo a fare?