In Italia, il percorso verso la realizzazione di un progetto “città 30”, come si può osservare più ampiamente in Europa, è piuttosto accidentato. Sarebbe fuorviante e parziale attribuire come principale problema la chiara propensione nel nostro Paese di soddisfare le proprie esigenze di trasporto rivolgendosi alla mobilità privata.
In Europa, da decenni gli amministratori locali hanno tratto lezioni dall’esperienza, all’epoca avanguardistica, delle “woonerven” olandesi. Hanno capovolto un paradigma in cui la mobilità privata dominava quasi totalmente lo spazio pubblico della strada, a discapito di qualsiasi altra funzione.
In Italia, le amministrazioni locali, con rare eccezioni, hanno continuato a seguire il vecchio percorso, senza mai prendere in considerazione altre possibilità. Le motivazioni sono le più diverse, ma mi permetto di sottolineare una che ritengo meritevole di essere citata.
L’Italia del dopoguerra, e possiamo dire con buona approssimazione fino alla fine del secolo scorso, ha assistito a un significativo movimento migratorio verso le città. Questo ha portato all’espansione incontrollata delle aree urbane, con strade di asfalto divenute la soluzione più rapida per collegare periferie sempre più estese e diffuse. Invece di concentrarsi su grandi infrastrutture di trasporto pubblico, che richiedono molto tempo e un notevole sforzo per superare la burocrazia e non sempre garantiscono un riscontro positivo in termini di consenso elettorale, ci si è affidati alle opportunità offerte dalla mobilità privata.
Bologna, seppure in misura minore rispetto ad altre città, ha subito una dinamica simile. A partire dagli anni 2000, fortunatamente, si verifica anche nel nostro Paese un’inversione di tendenza volta a ridefinire completamente le priorità delle politiche sulla mobilità.
Tuttavia, a seguito di un cambiamento di prospettiva così rilevante, Bologna, come altre città, affronta le difficoltà di intervenire su un paesaggio urbano profondamente segnato da una concezione agli antipodi di una visione incentrata su una fruizione democratica dello spazio pubblico. Qui, il paradigma dominante è quello della condivisione, non quello di una gerarchizzazione rigida con separazione delle funzioni che avvengono più naturalmente in strada, che spesso definiscono il volto della città stessa. Realizzare efficacemente un progetto di “città 30” comporta un lavoro di profonda rivisitazione dell’architettura urbana, spesso costoso non solo in termini economici, ma anche in termini di tempo, partendo da uno spazio pubblico definito secondo regole completamente diverse.
Accelerare certe misure prima che sia conclusa, almeno nei suoi tratti più essenziali, un’opera così imponente di trasformazione dello spazio pubblico, può portare a risultati ben lontani dalle buone intenzioni iniziali.
Un altro pilastro fondamentale per la buona riuscita del progetto “città 30” risiede nell’adesione volontaria dei cittadini. Questi ultimi devono essere stimolati a rispettare il nuovo ordine, invece di essere puniti con sanzioni. Un limite di velocità di 30 km/h può sembrare incomprensibile se la strada è costruita come una via di transito veloce.
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Una “città 30” si caratterizza per una diffusione ampia di nuclei di zona 30, intervallati da strade di scorrimento con un limite di 50 km/h, dove per ragioni di sicurezza continua a vigere la separazione delle funzioni.
In definitiva, il successo di una “città 30” si basa sul consenso dei cittadini verso un progetto in cui l’intera comunità si riconosce e dove il design delle strade induce al rispetto del limite di velocità. Questo limite non dovrebbe essere percepito come una prescrizione incomprensibile, ma come una necessità per garantire un transito sicuro.
In questo contesto, l’amministrazione comunale di Bologna sembra essere in ritardo, concentrando maggiormente i suoi sforzi nel raggiungere un obiettivo formale. Si prodiga per ottenere una “città 30” principalmente all’interno delle mura di Palazzo D’Accursio, con l’obiettivo di vantarne un primato utile per la propria comunicazione politica, mettendo in secondo piano tutti gli altri aspetti importanti legati alla sua realizzazione sul territorio.
Pertanto, sarebbe opportuno rivedere i tempi di attuazione del progetto “città 30” per Bologna, intervenendo in modo più incisivo con la realizzazione delle opere necessarie. Questo al fine di garantire un’architettura stradale che promuova sia la condivisione delle funzioni che il rispetto dei limiti di sicurezza. Si dovrebbe inoltre rimodellare il trasporto pubblico per rispondere alle nuove esigenze di una cittadinanza orientata verso una mobilità più consapevole e intermodale, nonostante ciò possa avvenire difficilmente prima dell’attivazione della linea rossa. Infine, si dovrebbe assicurare una presenza più capillare del trasporto pubblico non di linea sul territorio.