Il populismo e con esso il sovranismo non sono “mostri” brutti e cattivi da cacciare in un angolo della politica. Relegarli a questo ruolo pittoresco sarebbe il più grande regalo che si può fare a quelle forze politiche e, in ultima analisi, risulterebbe solo un modo per non affrontare i problemi di cui sono evidente spia. Non è la prima volta che Buona Destra insiste su questo argomento e ieri la conferma della correttezza del ragionamento è arrivata direttamente dal premier Mario Draghi.
In conferenza stampa, infatti, e precisa domanda, Draghi ha risposto “Serve un’azione di governo che renda il populismo non necessario”, Poche parole, come al suo solito, che arrivano direttamente al cuore del problema rivelando una verità obiettivamente incotrovertibile.
Il populismo – quella tendenza ad assecondare o addirittura a provocare la pancia emozionale dell’elettorato per poterla cavalcare a fini di consenso – nasce da bisogni profondi degli esseri umani. Non è necessario essere Maslow per capire quali siano i principali: sicurezza fisica e tranquillità economica, tanto per dirne due, a cui per dovere di cronaca potremmo aggiungere anche il bisogno di riconoscimento sociale, di far parte di una tribù compatta in cui le insicurezze del singolo trovino conforto in un pensiero (sedicente) forte e identitario.
Bisogni, si badi bene, del tutto legittimi che sono analizzati dagli psicologi da secoli e che tuttavia assumono una valenza politica negativa quando qualcuno li cavalca per estorcerne facile consenso: ed ecco che si creano pericoli che non esistono o nemici immaginari per aizzare la folla e ridurne la capacità razionale e cognitiva. Il consenso di molti partiti tendenzialmente estremisti (ma non solo) si fonda sulla conoscenza e sullo sfruttamento di questi meccanismi psicologici.
Ma quello che è il suo punto di forza ne è al tempo stesso tara genetica che ne determina il fallimento. La semplificazione della complessità è certamente efficace nell’individuare e cavalcare un problema reale, ma è del tutto inidonea a risolverlo o a darvi una risposta seria.
Ecco che dunque Mario Draghi ha fatto centro, individuando il giusto antidoto. Non certo la demonizzazione del bisogno cavalcato (ne’ pure del marrano cavaliere, invero), ma in una seria azione di governo atta a dare risposte concrete, serie e coerenti in grado di soddisfare davvero quei bisogni. Insomma, la gente non è stupida e se opportunamente guidata da una classe dirigente che sia finalmente all’altezza è in grado di non cadere nella facile propaganda di finte illusioni. Ma in Italia, è proprio la mancanza di una classe politica all’altezza del compito la prima causa che ha determinato lo spadroneggiare dei populisti generando improvvisati imbonitori di popolo che si credono statisti.
E’ chiaro che i tempi che stiamo vivendo – fra pandemia e guerra – con tutte le ricadute economiche e sociali sull’intera popolazione impongono i gettare le maschere. I pagliacci tornino a fare i pagliacci e i politici finalmente si riprendano la scena! Tempi eccezionali richiedono risposte serie, razionali e concrete. L’emotività politica ha fatto il suo tempo, e il declino dei relativi portabandiera è ormai solo questione di tempo. Le elezioni amministrative scorse sono state un segnale importante in tal senso con la evidente batosta rimediata da Lega e Movimento Cinque Stelle in primis e pure da Fratelli d’Italia al netto di qualche caso isolato.
E’ cambiato il vento e Mario Draghi (non solo lui in verità), lo ha fatto capire in modo estremamente chiaro. Serve politica, serve serietà e competenza, non basta più essere abili tribuni. Insomma, Salvini e Conte possono pure tornare in tribuna lasciando giocare la partita a chi lo sa fare. C’è bisogno di politica e per questo i personaggi bar che hanno fatto il bello e il cattivo tempo sin qui in Italia non sono graditi. Per questo ribadiamo quanto sia fondamentale che attorno a Mario Draghi si costituisca una maggioranza forte, unita e coesa anche per dopo il 2023, al netto appunto di Conte e Salvini (magari archiviati pure all’interno dei rispettivi partiti) per rilanciare un’azione di governo che non si muova seguendo il vento del consenso o peggio della “likecrazia” social.