L’appello pacifista non è la risposta che il popolo ucraino merita

La fretta di arrivare alla pace perché si è “stanchi” della guerra non è la risposta che il popolo ucraino merita. Ci si nasconde dietro le parole di Papa Francesco, giacché troppo sfacciato sarebbe asserire: “Kiev si arrenda subito, si genufletta al gigante Mosca”. Da più parti pare ci sia oggi voglia di smarcarsi dalle giuste scelte compiute dal governo Draghi, che dallo scorso febbraio si è mostrato convintamente vicino a Zelensky, e di sposare la posizione del M5s e del pacifista Giuseppe Conte. Dopo l’appello firmato da Rosy Bindi, Tomaso Montanari e vari altri intellettuali e politici perlopiù di area catto-populista in favore di una riapertura del dialogo tra democratici e grillini, pubblicato sul «Fatto Quotidiano» qualche settimana fa, ieri è stato «Avvenire», organo della conferenza episcopale italiana, a pubblicarne un altro. Un appello per un «negoziato credibile» firmato da un gruppo di intellettuali di destra e di sinistra nella forma di una lettera al direttore.

La morale della favola qual è? Spicciola: la guerra da fermare non è quella della Russia sul suolo ucraino, ma quella dell’Ucraina per respingere l’offensiva russa. Come era accaduto durante la pandemia, ad un certo punto, il problema non era più: difendersi dal Covid, ma dai vaccini e dall’uso del Green Pass. La resistenza di Kiev che dovrebbe renderci orgogliosi è invece fonte di preoccupazione per i pacifisti, che temono che Vladimir Putin, infastidito per la piega inattesa degli eventi, possa far ricorso alla bomba atomica. La lettera-appello pubblicata da «Avvenire» inizia infatti proprio così: «La minaccia di un’apocalisse nucleare non è una novità. L’atomica è già stata usata. Non è impossibile che si ripeta». E non è che l’attacco: il piano in sei punti pubblicato ieri consiste fondamentalmente nel dare a Putin tutto quel che vuole, dandogli pure ragione.

Praticamente qui non soltanto si tratta di mettere sullo stesso piano l’aggressore e l’aggredito, ma di appoggiare il primo perché non se la prenda con gli altri. La molla del pacifismo è la paura: il suo antagonista il coraggio. Secondo questa logica (se vogliamo chiamarla così) qualunque tiranno infatti in possesso dell’atomica potrebbe svegliarsi un bel mattino e invadere un paese vicino senza trovare opposizioni o intralci. Anzi, l’aggressore potrebbe pure ottenere in premio un bel negoziato; trovarsi a discutere di quanta parte del territorio da lui occupato resterebbe di sua legittima proprietà. “Purché la guerra finisca”, ai pacifisti questo fatto solo interessa. I massacri, gli stupri, invece no. La verità, evocata nei talk show, tantomeno. Troppa fatica.