Alle radici del filoputinismo in Italia: meglio il comunismo di Gorby del liberismo di Ronnie

Come viene vista dall’Italia la crisi dell’Ucraina? I filo-russi lamentano una faziosità filo-Ucraina e anche filo-Nato. Ma rileggendo gli approfondimenti della storia la tesi è che la crisi nasce dalla mancata promessa di Bush (padre) di non estendere la Nato a Est della ex cortina di ferro, alla vigilia della fine della guerra fredda. Promessa che, però non è mai esistita. Si tratta, infatti, di una palese manipolazione della storia attuata dalla propaganda russa, già dalla fine degli anni 90, e adottata a scatola chiusa dalla vulgata storica italiana.

Dando per scontato che la versione di Mosca sia vera, ogni tipo di sostegno a Kiev, non solo militare, ma anche politico e culturale, viene a mancare. L’aggressore diventa la Nato. Putin può reagire bene o male, ma a questo punto è dalla parte dell’aggredito, dunque della ragione. Peccato che la storia sia, non documentata e neppure plausibile. Probabilmente gli storici del futuro non troveranno mai dei protocolli segreti sulla spartizione dell’Europa dopo il 1989. È una rappresentazione della realtà tutta interna al ceto politico post-sovietico.

Perché non è neanche plausibile? Prima di tutto, perché nel 1989 la Russia non c’era ancora. C’era l’Urss. La Russia nacque dalla secessione di Eltsin dall’Urss e uno dei primi atti della nuova repubblica indipendente fu quello di riconoscere l’indipendenza delle altre repubbliche ex sovietiche, inclusi i Paesi Baltici, la Georgia e l’Ucraina stessa. Indipendenza piena include anche la libertà di stringere alleanze con altre potenze.

Il Patto di Varsavia si era sciolto sei mesi prima della piena indipendenza russa: una volta liberi dai loro regimi comunisti, i Paesi diventati democratici vennero anche liberati dall’oppressione della dottrina Breznev, dunque dalla pretesa sovietica di soccorrere i governi fratelli. Gli storici e gli esperti che parlano di questo patto non scritto, danno per scontato che Urss e Russia siano la stessa cosa, ma non lo sono affatto.

Il primo governo della Russia indipendente, aveva anche chiesto di entrare nella Nato. E, ci fossero state le condizioni, la Nato l’avrebbe anche ammessa. La Russia che si preoccupa della Nato alle porte è quella dei partiti post-comunisti e nazionalisti, la cui nostalgia per l’Urss è diventata ideologia di potere con il presidente Putin. È da queste componenti politiche che nasce la leggenda del patto non scritto che la Nato avrebbe violato, espandendosi a Est.

La Nato, però, è un’alleanza a cui si chiede di aderire. E non è neppure un processo facile. I governi che chiedono di aderire alla Nato devono fornire garanzie su una serie di riforme politiche e militari per conformarsi agli standard richiesti, un processo che dura anni. Non è la Nato che si espande a Est, semmai sono i nuovi membri dell’Est che, per anni, hanno guardato a Ovest.

La caduta del muro di Berlino si è scontrata frontalmente con le ideologie nazionaliste, mentre lo sviluppo del mercato libero in tutto il mondo ha favorito l’instaurarsi di nuove relazioni tra diverse nazioni e culture.In prospettiva costituzionale, la globalizzazione ha così impattato direttamente sulla sovranità degli Stati: nuove forze globali hanno messo a rischio la capacità dei governi di controllare le proprie economie e le proprie società, favorendo al contempo lo sviluppo di sistemi normativi internazionali e sovranazionali che hanno contribuito ad erodere non solo il dogma giuridico della sovranità, ma anche l’essenza del concetto di identità nazionale.

Ad essere chiari, il cosmopolitismo non è un’idea politica nuova ma un pensiero antico, di cui si trova traccia già negli scritti di Diogene il Cinico che, «interrogato sulla sua patria, rispose “sono cittadino del mondo”». Il termine ha però assunto caratteristiche più prettamente politiche a partire dal secolo dei lumi per sostenere la creazione di un ordine universale fondato sulla Ragione comune e contrapposto agli egoismi delle nazioni. Anche in passato, dunque, la teoria del cosmopolitismo fu utilizzata per promuovere la nascita di una futura lega delle nazioni basata sulla costruzione di «un diritto universale» inteso come «il complemento necessario del codice non scritto di un giure pubblico delle genti, sia interno che internazionale» e rivolto al perseguimento «della pace perpetua cui solo in tal guisa potremmo man mano approssimarci» (Kant).

Questo antico e utopistico ideale ha potuto realizzarsi solo grazie alle condizioni pratiche sviluppate dall’esplosione della globalizzazione; l’idea cosmopolita è così divenuta lo strumento privilegiato per sostenere la tesi internazionalistica del superamento delle nazioni e la nascita di organismi sovrannazionali. Chi descrive una Nato che allunga le mani sull’Ucraina, evidentemente, non sa di cosa parla.

Però, evidentemente, in tutte le trasmissioni e negli articoli di approfondimento, piace questa idea della Nato che si espande a Est e quindi piace vedere una Russia che si difende, anche quando, non provocata. Ma perché, in Italia, piace così tanto questa narrazione? Non tanto perché il 30% degli elettori votava il Pci. Anzi, fra molti post ed ex comunisti circolano idee molto più critiche su Putin e la nuova Russia, non fosse altro che per la nostalgia del vecchio regime.

Il revanscismo russo post-sovietico è diffuso maggiormente fra i moderati, soprattutto quelli che hanno vissuto da adulti la fine della guerra fredda. Forse perché, pur non ammettendolo, fra gli sconfitti della guerra fredda non c’è solo l’Urss, ma anche l’Italia stessa. In Andreotti e Gorbaciov, ma il discorso si potrebbe anche estendere a Craxi, a Mitterrand e a tutti i leader socialdemocratici europei.

L’idea dominante era quella di porre fine alla guerra fredda normalizzando il comunismo e rendendo permanente la divisione. Allontanandosi dagli americani all’Ovest, ma tenendo i sovietici, nell’Est. L’Urss era vista anche come utile interlocutore nelle crisi del Medio Oriente. Agli occhi dei leader europei, sia democristiani che socialdemocratici, era più appetibile un comunismo riformato che un liberismo sfrenato come quello che Reagan e la Thatcher stavano promuovendo nell’anglosfera.

Tornando all’Italia, Andreotti non ha mai digerito la riunificazione della Germania, né le rivoluzioni di velluto a Est. Non ha mai aderito alla missione della Nato dopo la guerra fredda, ne suggeriva infatti lo scioglimento già nel 1989. Di sicuro non ha mai gradito lo scioglimento dell’Urss. Tutta la classe politica di allora, oltre alla schiera di imprenditori, privati e boiardi di Stato, che nel 1989 avevano accolto “Gorby” a Milano come un re, è uscita sconfitta dallo scioglimento imprevisto e improvviso del Patto di Varsavia e dell’Urss stessa.

Per cui, in Italia, sentiremo sempre che la Nato non doveva espandersi, l’Ucraina, o almeno la Crimea, è storicamente russa. Perché della liberazione dal comunismo importa a pochi, in Italia. Ma della stabilità o dipendenza politica ed economica importa eccome, soprattutto a politici e imprenditori che preferiscono avere, ad Est, un solo interlocutore con cui trattare un prezzo di favore.