Alcaro (IAI): “I negoziati? Una strategia di Putin per prendere tempo e costringere l’Ucraina alla resa”

A che punto sono i negoziati per trovare un’intesa sulla pace in Ucraina? In alto mare. Perché la Russia usa le trattative solo per guadagnare tempo utile all’Armata Rossa per conquistare più terreno. Ne è convinto Riccardo Alcaro, responsabile di ricerca nel Programma Transatlantico dell’Istituto Affari Internazionali (IAI). “Il piano in quindici punti su cui russi e ucraini stanno lavorando per mettere fine alle ostilità sembra più che altro un modo per i russi di guadagnare tempo per riorganizzare l’offensiva e poi forzare Zelensky ad accettare condizioni al momento irricevibili – afferma sul sito di IAI -. Il piano ruota attorno a tre elementi: fine della campagna d’invasione, neutralità dell’Ucraina e status delle regioni contese, ovvero Crimea e le due sedicenti repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk nel Donbas. Un quarto elemento, quello che la propaganda russa chiama ‘denazificazione’, è stato deenfatizzato e ora si riduce a misure relativamente non controverse per la promozione di lingua e cultura russi in Ucraina”.

Ma quali sono le posizioni delle parti in causa? “Gli ucraini puntano al ritiro delle truppe russe da tutti i territori dove non erano presenti prima dell’invasione – aggiunge Alcaro -. Sono disponibili a rinunciare all’ingresso nella Nato, a patto però di ottenere in cambio solide garanzie di sicurezza e di mantenere forze armate capaci di assicurare la difesa territoriale. Né sono pronti a privarsi della prospettiva di aderire all’Ue. Kyiv ha fatto intendere che potrebbe ripiegare su una politica di non rivendicazione attiva di Crimea e Donbas, ma non di un riconoscimento ufficiale della sovranità russa sulla prima e dell’indipendenza del secondo. I russi, dall’altra parte, accusano gli ucraini di rallentare le trattative con pretese irrealistiche. Evidentemente Putin pensa di potere ottenere molto di più su ogni fronte: un’Ucraina non solo neutrale ma ‘smilitarizzata’, ovvero incapace di difendere il territorio, e amputata territorialmente della Crimea, di tutto il Donbas (compresa la parte di territorio che era ancora sotto controllo ucraino prima dell’invasione di quest’anno) e probabilmente anche della zona costiera attorno al Mar d’Azov. Il Cremlino mira, inoltre, a un alleggerimento delle sanzioni euro-americane”.

La strategia di Putin, dopo il fallito blitzkrieg e l’inasprimento dell’offensiva, con le forze russe che arrancano a nord ed est ma hanno fatto maggiori progressi a sud, di fatto chiudendo l’accesso dell’Ucraina al Mar d’Azov, è quella di ottenere i suoi obiettivi per via militare. Nonostante i diecimila soldati russi morti in meno di un mese. E nonostante il rischio del default finanziario. “I russi apparentemente non hanno le capacità per conquistare i maggiori centri urbani, e tanto meno le risorse per tenere sotto occupazione ampie aree di un paese più grande della Francia e di quasi 44 milioni di persone, dove, peraltro, i sostenitori dei russi si contano sulle dita di una mano – aggiunge ancora Alcaro -. Possono però ancora ottenere una resa di un’Ucraina prostrata da lunghi assedi delle città in cui l’uso dei bombardamenti d’artiglieria, missilistici e aerei diventa più indiscriminato. E non si può escludere il ricorso ad armi non convenzionali, incluse armi atomiche tattiche, per piegare la volontà di resistenza degli ucraini. La guerra sta causando danni enormi. Le vittime civili sono apparentemente ancora contenute, ma i flussi di profughi hanno raggiunto proporzioni ciclopiche. I danni materiali ad abitazioni e infrastrutture sono nell’ordine delle centinaia di miliardi di euro. Sono considerevoli le perdite militari ed è molto elevato il tasso di abbandono, distruzione o cattura di mezzi militari”.

“L’andamento della guerra è destinato a essere influenzato da due variabili – ancora l’analisi di Alcaro -. La prima è la sostenibilità in termini di perdite umane e materiali dello sforzo militare russo. A determinarla concorre naturalmente la capacità di resistenza delle forze armate ucraine, a sua volta dipendente dai rifornimenti di sistemi d’arma americani ed europei. La seconda è la sostenibilità politica e finanziaria della campagna di invasione, su cui pesano la pressione diplomatica euro-americana e soprattutto le sanzioni draconiane adottate da Stati Uniti e Unione Europea. Uno spazio di reale trattativa si può aprire soltanto se la sostenibilità della campagna d’invasione russa, in termini di uomini, mezzi, risorse e costi diplomatici, viene erosa al punto che il Cremlino è costretto a significativi arretramenti rispetto all’obiettivo iniziale del soggiogamento di Kyiv a Mosca. Putin però non ha dato segnali incoraggianti in questo senso. I russi ora sostengono che la ‘denazificazione’ dell’Ucraina, motivo centrale della propaganda russa, non passa più per il rovesciamento del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Tuttavia, sembrano ancora ritenere che la resa dell’Ucraina sia a portata di mano”.

“Gli Stati Uniti e gli alleati europei non sono disposti a concedere a Putin la vittoria che ancora cerca. Tuttavia, assistenza militare all’Ucraina e pressione economica sulla Russia potrebbero non bastare a scongiurare un’escalation delle violenze e, conseguentemente, il rischio di allargamento alla Nato della guerra. Quest’ultimo potrebbe avvenire in caso la Russia colpisca obiettivi Nato, per esempio nel corso di rifornimenti militari all’Ucraina, oppure se la Nato dovesse giudicare intollerabile il grado di distruzione inflitto alla popolazione e le città ucraine – conclude il responsabile di ricerca nel Programma Transatlantico dell’Istituto Affari Internazionali -. E’ necessario che i governi Usa ed europei valutino con attenzione come far valere la propria influenza sulle trattative. Non ci sono garanzie contro un imbarbarimento della guerra, ma di certo non esistono prospettive di una pace duratura, che salvaguardi l’indipendenza e la sicurezza dell’Ucraina e stabilizzi l’antagonismo con la Russia, senza un maggiore coinvolgimento di americani ed europei”.