A forza di ambiguità non si va da nessuna parte, è l’ora che Meloni lo capisca

“Collaborare con l’Unione europea per com’è oggi e per come sono oggi i suoi equilibri politici interni, rispettando i suoi tabù ideologici, da presidente del Consiglio della Repubblica italiana. E al contempo fare campagna elettorale opponendosi all’Unione europea per com’è oggi e per come sono oggi i suoi equilibri politici interni – un’opposizione che ideologicamente è tabù – da leader di Fratelli d’Italia e del nazional-conservatorismo continentale. Incontrare Viktor Orbán a Budapest il 14 settembre e Ursula von der Leyen a Lampedusa il 17, evitando di finire lacerata dalla contraddizione, anzi provando a convertirla in un punto di forza: questa è la sfida davanti alla quale si trova in questo momento, e si troverà ancora per molti mesi, Giorgia Meloni.”

Le parole di Giovanni Orsina sulla Stampa riflettono in modo eloquente la complessa situazione in cui si trova Giorgia Meloni nel panorama politico europeo. Come presidente del Consiglio della Repubblica italiana, è chiamata a collaborare con l’Unione europea. Tuttavia, in qualità di leader di Fratelli d’Italia e del nazional-conservatorismo continentale, deve anche fare campagna elettorale opponendosi all’Unione europea e ai suoi attuali equilibri politici interni, un’opposizione che ideologicamente rappresenta una sfida.

L’ambiguità presente nelle scelte di Meloni riflette innanzitutto le complesse dinamiche dell’Unione europea. Questa è basata su una cooperazione intergovernativa, ma ha anche contribuito a creare una sfera pubblica continentale, generando una tensione costante tra la necessaria convergenza diplomatica tra leader come Meloni e Macron e il conflitto politico inevitabile tra le forze liberali e conservatrici europee rappresentate da loro.

Inoltre, l’ambiguità è una conseguenza della storia politica italiana recente. L’euroscetticismo è emerso nel panorama italiano già nel 2011, alimentato dall’idea che l’integrazione europea potesse essere controproducente. Questa tensione tra l’opinione pubblica italiana e l’Unione europea è diventata una questione centrale per la politica italiana, con diverse posizioni tra i partiti e una varietà di risposte politiche.

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Ereditato da precedenti governi e partiti, compreso il Movimento 5 Stelle, la Lega di Salvini e anche, all’epoca anche dal governo Renzi, l’euroscetticismo si è insediato ed è cresciuto nella politica italiana. La risposta dell’Unione europea alla pandemia ha mitigato temporaneamente questa tensione, ma il problema rimane latente e potrebbe emergere nuovamente in futuro.

La politica migratoria del governo Meloni rappresenta un esempio concreto di come questa strategia sia alla lunga impraticabile. Meloni deve dimostrare determinazione nel limitare l’immigrazione con il sostegno dell’Unione europea, ma deve anche supportare i suoi alleati europei che tuttavia contemporaneamente non vogliono accogliere proprio quei migranti che continuano ad arrivare sulle coste italiane. Questo equilibrio è stato cercato dando priorità alla difesa dei confini esterni del continente rispetto alla redistribuzione dei migranti all’interno dell’Unione, fin’ora con ben poca efficacia, nonostante i continui incontri con Ursula von der Leyen, con al centro la questione Tunisi.

Tuttavia, l’ambiguità in politica non è una soluzione duratura. Le elezioni europee sono ancora lontane, e la presenza di alleati come la Lega di Salvini, che spesso enfatizza le contraddizioni, rende il gioco politico ancora più complesso. Inoltre, non è chiaro quale possano essere i risultati sperati, oltre a quelli beceramente elettorali. È legittimo opporsi all’Unione europea per i suoi attuali equilibri politici interni, ma occorre definire chiaramente quale Europa delle patrie i nazional-conservatori vorrebbero e perché sarebbe nell’interesse nazionale italiano perseguirla.