Materie prime e flussi finanziari, ha ragione Paolo Cirino Pomicino, che in un articolo su Il Foglio ricorda di quando nel 2015 mise in guardia sulla crescita dei futures sulle commodities alimentari. “La finanziarizzazione dell’economia di inizio anni ’90 ha avvelenato l’economia di mercato favorendo l’uso finanziario del capotale piuttosto che quello produttivo e alimentando, così, grandi ricchezze e povertà di massa di cui le diseguaglianze nelle grandi democrazie sono la più drammatica delle testimonianze” scrive l’ex ministro democristiano.
Quanto stiamo vivendo, la pandemia e poi la guerra, hanno portato questo processo all’estremo, e adesso ne paghiamo le conseguenze. Con un’aggravante: le notre élite politiche, che dovrebbero occuparsi di porre un freno alle speculazioni sulle materie prime, sembrano non rendersi conto della gravità delle conseguenze di questa mancata decisione. I bonus, seppur apprezzabili, non servono se non si interviene sulle materie prime, neanche Mario Draghi pare averlo compreso. Ma questa indifferenza rischia di portare all’esasperazione sociale, all’ingrossamento delle file dei nuovi poveri, e di conseguenza all’esplosione della rabbia popolare. Le democrazie liberali, come spiegato da Pomicino, devono recuperare l’equilibrio sociale ed economico sia dentro i singoli paesi che tra nazioni.
Lo sviluppo tecnologico, l’innovazione la ricerca del benessere diffuso sono sorti sulla base di fondamenta fragili, cioè si un mercato delle materie prime su cui ora va posto un controllo per disintossicarlo, per renderlo meno drogato dalle speculazioni. “La finanza deve tornare a essere una infrastruttura al servizio della produzione – conclude Cirino Pomicino -, smettendo di essere un’industria a se stante”. Un ruolo che spetta alla politica. E alle élite che devono recuperare la capacità di decisione.