Quanto sta succedendo sul piano internazionale, con l’aggressione americana all’Iran e l’uccisione del generale Solemaini, tanto esaltata dal nostrano Matteo Salvini, pone i riflettori sull’irrilevanza geopolitica che l’Europa ha assunto sul piano internazionale. Per la quale la priorità dichiarata resta solo un ormai difficilmente salvabile piano di disarmo nucleare – il piano Jepoa – iraniano. Il punto è tutto qui: l’Europa e gli Stati che la compongono in questo momento non hanno la volontà e la forza di sfidare Trump e la minaccia dei dazi. Lo dimostra il fatto che sulla questione iraniana l’Unione ha emesso un blando comunicato, 24 ore dopo il raid Usa contro Solemaini, firmato solo dall’Alto rappresentate UE, il socialista spagnolo Joseph Borrel – i singoli Stati, ognuno alle prese con difficili rapporti con Trump, non se la sono sentita di condannare l’episodio che apre a scenari di guerra – in cui si richiamava al senso di responsabilità di tutti per evitare il fallimento del disarmo nucleare.
In realtà reazioni più o meno scomposte da parte di Francia, Germania e Inghilterra ci sono state, in via privata direttamente con contatti tra la Casa Bianca e i vari Macron, Merkel e Jonson, tanto che io segretario di Stato americano Pompeo ha parlato di reazione “non utile” degli alleati alla strage dei militari iraniani che rischia di trascinare il mondo in una nuova guerra. Nel frattempo il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio era in vacanza in Spagna.
L’aspirazione europea di fare da mediatore tra Theran e Washington per evitare il ricorso alle armi rischia pertanto di fallire, se l’unica argomentazione per il mantenere la pace in Medio Oriente – ad oggi difficile da centrare – sarà il rispetto del piano Jepoa. Trump di fatto non calcola più l’alleato europeo, mentre per la questione libica la Russia si fa minacciosa. Si è costretti a cercar sponda nella Cina. Stretta come decenni fa tra due blocchi, l’Europa non sembra avere margine di manovra: la storia degli ultimi due decenni decreta il fallimento di un modello, nato dopo due sanguinose guerre mondiali, che escludeva la guerra come soluzione alle controversie internazionali. E che oggi decreta la sostanziale impotenza della UE e della sua diplomazia.
Ciò è accaduto in primo luogo perché l’Europa non è mai stata davvero veramente federale, priva di una reale unità politica in grado di governare, in nome della democrazia europea, i processi che vanno al di là dei singoli Stati. Oggi più che mai c’è la necessità dell’affermazione di una sovranità europea in campo economico, di politica estera e della sicurezza. Cominciando, per esempio, dal dotarsi di difesa militare comune, un’intelligence e una procura europea, di una cooperazione strutturata e permanente. Perché se da una parte il ripudio della guerra come extrema ratio e la scelta della diplomazia come canale privilegiato sono principi che fanno onore al Vecchio Continente, dilaniato dai conflitti del ‘900, dall’altra oggi nello scenario politico internazionale questo valori stanno indebolendo, fino all’annullamento, la forza dell’Europa. La solitudine della UE, alimentata dalle diverse e divergenti posizioni assunte dagli Usa, può avere come unica soluzione solo la scelta di una svolta veramente federale. Di questo si parlerà il 9 gennaio a Jesi (alle 18, Sala Maggiore di Palazzo delka Signoria) in un incontro dal titolo “Una buona destra, un’Europa federale” con Filippo Rossi e Michele Ballerin, moderato da Alfredo Bardozzetti.