I drammatici racconti dei bambini vittime della guerra di Putin

Come stai?
Non lo so
Vuoi parlare?
Ha sparato al piede della mamma, poi ha sparato nell’altro.
Cosa hai provato?
Volevo gridare, saltavo sulla sedia e sono caduta, ma loro mi hanno tirata su e mi hanno messa seduta vicino a papà, e mi hanno detto di guardare in silenzio, altrimenti avrebbero sparato anche a papà.
Li hai ascoltati?
Sì, la mamma mi ha pregato. Poi hanno sparato sulle mani della mamma e ridevano. Ci prendevano in giro, dicevano che ce lo meritavamo. Costringevano la mamma a dire che era russa. Poi le hanno sparato in testa. Papà gridava, gridava così forte. Ma io non piangevo. Li odiavo. Ho visto mia mamma salire in paradiso. Ho visto un arcobaleno.

Anna (il nome è di fantasia) ha appena 12 anni e, in tutti quelli a venire, non ci sarà giorno in cui l’immagine della sua mamma straziata, derisa e uccisa barbaramente riaffiorerà nella sua testa. E nel suo cuore. E, bisogna ammetterlo, leggendo simili storie si riesce a dar ragione persino a un Di Maio che, a pochi a giorni dall’invasione russa, definì Putin “animale”. E al diavolo la diplomazia. Sì, al diavolo la diplomazia davanti a racconti come quello di Anna. Ma anche di Svitlana, 10 anni, Irina, 15, e Diana, 11.

Le storie di bambini e ragazzi della città martire di Mariupol sono state raccolte dalla psicologa Vera Khvust, che dal 24 febbraio lavora come volontaria con i minori evacuati dalle zone più colpite dalla guerra in Ucraina. “Il mio lavoro è fare da filtro e individuare i traumi”. È così che si è trovata a parlare con tanti bambini e a trascrivere i loro racconti, pubblicati oggi da alcuni organi di stampa.

Questa è la storia di Irina. “Quando tutti hanno iniziato a parlare della possibilità di un attacco non potevamo pensare che sarebbe stato così grave. La mamma diceva che forse avrebbero dovuto installare un allarme in città, ci ridevamo su. Quando ci hanno attaccato, scappare è diventato impossibile da subito. Siamo scesi nello scantinato, la mamma teneva in braccio mia sorella Ljuba (quattro anni e mezzo), io tenevo in braccio mio fratello Igor (nove anni). Tutto tremava. Avevamo paura di muoverci. Con noi nello scantinato c’era anche la vicina, con sua madre molto anziana e suo figlio di sei anni. Un giorno la nonna ha provato ad andare a cercare qualcosa da mangiare per il nipote che continuava a piangere. Abbiamo solo sentito uno sparo. La nonna non è mai tornata. La mamma voleva andare a prendere un po’ di neve da sciogliere per bere, ma sentivamo che i russi erano in strada, e la pregavamo di non andare altrimenti avrebbero ucciso anche lei. Nello scantinato c’erano i topi, di notte ci salivano addosso. A un certo punto abbiamo pensato di catturarli per mangiarli, ma la mamma ce l’ha vietato. Ljuba piangeva molto, ma non doveva perché avrebbero potuto sentirci. Aveva fame e sete.
Un giorno qualcuno ci ha buttato dalla piccola finestra dello scantinato una busta, c’erano delle mele sciroppate e biscotti. La mamma pensava fossero avvelenati, ma abbiamo deciso di mangiarli, a quel punto era uguale se morire di fame o per avvelenamento. Forse ce li avevano lasciati i soldati ucraini, perché anche i vicini avevano trovato una busta simile. Igor diceva che ce li aveva portati San Nicola. A un certo punto la mamma ha iniziato a filtrare l’urina attraverso i vestiti per farcela bere perché i russi erano proprio vicino a noi. Quando abbiamo lasciato lo scantinato c’erano molti cadaveri in strada, i loro resti li mangiavano gatti e cani. È così nauseante. Un altro giorno in più nello scantinato e Ljuba non sarebbe sopravvissuta. Igor voleva uscire perché lo ammazzassero. Era tutto così spaventoso. I capelli della mamma sono diventati tutti bianchi, e lei ha solo 38 anni. Una mia amica, compagna di classe, l’hanno violentata e poi uccisa. Davanti agli occhi di sua madre e della sorellina. Non li perdonerò mai. Farò medicina, mi laureerò e li avvelenerò tutti. Vorrei che i russi non esistessero, che la loro terra fosse deserta, dopo tutto quello che hanno fatto. Per ora ci pensa papà che combatte contro di loro, li sta massacrando”.

Insieme alle storie, drammatiche, di Anna ed Irina ce ne sono altre. A centinaia, purtroppo. E, forse, fa ancora più male sapere che ce ne sono di peggiori: centinaia di bambini sono infatti spariti. Deportati e finiti in mano ad organizzazioni criminali.

L’ambasciatore ucraino alle Nazioni Unite, Sergiy Kyslytsya, ha accusato la Russia di aver trasferito nel Paese con la forza 121 mila bambini ucraini. Dopodiché Mosca ha varato una legge per semplificare e accelerare le procedure di adozione.

A Mariupol scompaiono i minori. Il gruppo per i diritti umani Crimean Human Rights denuncia che l’esercito russo ha portato via con la forza da Mariupol 150 bambini, 100 dei quali erano in ospedale perché malati e feriti.

Complessivamente, le cifre a disposizione delle Nazioni Unite sono a dir poco spaventose. In queste otto settimane dall’inizio della guerra di Putin, dei 7 milioni di bambini ucraini oltre 4 e mezzo sono sfollati. Portano con sé poche cose, qualche gioco, un peluche, una bambola, dei lego, una macchinina per tentare di sfuggire con la mente alla realtà. Quelli rimasti nelle loro case sopravvivono vagando tra le mura nell’angoscia senza cibo, senza luce, senz’acqua, accuditi dalle madri o dai nonni.

L’Unhcr, infne, ha quantificato al 22 aprile 172 bambini uccisi e 229 feriti: la più grande tragedia europea dai tempi della Seconda guerra mondiale.