Forse ci siamo! Forse è arrivata la fumata bianca nella maggioranza sulla riforma del CSM. A meno di rocamboleschi voltafaccia, il Governo parrebbe aver trovato la quadra per la riforma dell’organo di autogestione della magistratura italiana. Enrico Costa, responsabile giustizia di Azione e promotore di una vera e propria battaglia per la riforma della giustizia, è cautamente ottimista, nonostante le trappole parlamentari che potrebbero scattare in sede di discussione in Aula.
“L’accordo è chiuso. Spero non spuntino sabotatori dell’ultima ora” afferma infatti il deputato del partito di Carlo Calenda, avendo in mente, principalmente ma non solo, Lega e Italia Viva che non hanno mancato di mostrare tutte le loro riserve. L’onorevole Giulia Bongiorno (Lega) parla di giudizio sospeso sulla riforma perché il testo Cartabia non affronterebbe i nodi fondamentali che stanno a cuore alla Lega. Italia Viva, pur assicurando un generico sostegno al DDL, ha mantenuto, per ora, tutti gli emendamenti in attesa della discussione parlamentare.
Insomma, il richiamo di Costa alla maggioranza è ben fondato, sebbene egli non voglia drammatizzare i punti di distanza fra le varie forze parlamentari. Ma che la situazione non sia proprio tranquilla lo dimostra il richiamo anche nei confronti di Movimento 5 Stelle e PD, invitati a non trovare motivi per litigare ma a concentrarsi piuttosto sui contenuti. Insomma, vi è motivo di essere ottimisti, ma senza abbassare la guardia in un momento che potrebbe davvero esser decisivo. D’altra parte, l’analisi di Costa sul sistema giustizia è tanto condivisibile quanto impietosa. Occorre una riforma che sia in grado di premiare i magistrati più bravi e non quelli che fanno carriera grazie al correntismo, vera e propria piaga all’interno del CSM negli ultimi decenni e che è emerso in tutta la sua purulenza solo grazie alle confessioni di chi quel sistema lo gestiva in modo assai disinvolto.
Questa la logica e l’obiettivo, ad esempio, con cui nasce il c.d. fascicolo performance che tanto fa infuriare le toghe che già minacciano scioperi in caso di approvazione della riforma. Tuttavia, la difesa conservatrice dello status quo che sembra animare gli organi di rappresentanza della magistratura, non può occultare la realtà non proprio rosea sullo stato del potere giudiziario: se l’operato di un giudice o di un pm viene smentito continuamente da assoluzioni o inchieste flop, o, ancora, ribaltamenti nei gradi superiori, qualche problema dovrà pur esserci. Ad oggi, secondo il sistema di valutazione attuale, circa il 99% dei magistrati risulta avere giudizi estremamente positivi. Eppure, di contro, negli ultimi 3 decenni ci sono stati almeno 30mila ingiuste detenzioni e lo Stato ha dovuto corrispondere svariati milioni di euro in risarcimenti danno. Tutto questo, a voler tacere della lentezza e lunghezza dei processi, penali e soprattutto civili.
Qualcosa non torna. Delle due l’una! O il sistema fotografato dalle odierne valutazioni è perfetto, e allora non si comprende il numero così alto degli innocenti in galera e delle disfunzioni della giustizia, oppure i parametri di valutazione del magistrato vanno ancorati a sistemi più obiettivi rispetto a quelli attuali. Va da sé, che riteniamo fondata questa seconda opzione e bene ha fatto Enrico Costa a battersi per la riforma di un sistema ingessato e completamente autoreferenziale.
Altra nota dolens toccata dal deputato di Azione è quello del rapporto fra magistratura e Informazione, quel famoso fattore “M” che Luigi di Gregorio spiegava assai bene nel suo “Demopatia”. La saldatura fra certi pm e certi quotidiani determina una lesione dei diritti dell’indagato che sempre più spesso è condannato mediaticamente prima ancora del giudizio (salvo poi in caso di assoluzione, ricevere attenzione su un trafiletto in ultima pagina). E’ una vera e propria spirale perversa che deve essere interrotta quanto prima per la sua natura fortemente arbitraria e illiberale (oltre che anticostituzionale), del tutto incompatibile con uno stato di diritto che voglia definirsi tale. Questo tipo di condanne ante iudicium ben si attagliano (si fa per dire!) nella Russia di Putin, ma non certo nell’Italia di Calamandrei, Carnelutti e Chiovenda.