In un momento storico in cui dobbiamo conciliare la necessità di diminuire la nostra dipendenza energetica dall’estero, con le ambiziose finalità della transizione ecologica (il processo strutturale che porta alla de-carbonizzazione del modello socio economico), non si comprende il recente parere contrario del Ministro della Cultura Dario Franceschini alla costruzione di un parco eolico presso la nuova diga foranea del porto di Genova.
Quest’ultimo, è solo l’ennesimo episodio in cui lo Stato non agevola sé stesso e si comporta in modo asincrono rispetto l’azione di Governo. Oltretutto, in questo caso vi è l’aggravante perché il diniego non proviene da un Governatore di una Regione o da un ente locale sulla base dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione Italiana che recita: spetta alle Regioni la potestà legislativa nella materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, da esercitarsi nel rispetto dei principi fondamentali riservati alla legislazione dello Stato”.
L’articolo 117, di fatto prevede una competenza “concorrente” Stato-Regioni in materia di energia. Ciò ha comportato per anni una lunga serie di rallentamenti e dinieghi a progetti di produzione di energia rinnovabile negli enti territoriali. A questa problematica si sono aggiunti: gli iter di autorizzazione degli impianti, le procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA), le norme regionali diverse e spesso contenziosi, l’effetto NIMBY (non nel mio giardino) e l’effetto NIMTO (non durante il mio mandato) sollevati rispettivamente da associazioni di cittadini e dagli amministratori locali.
Tutto questo sta comportando un ritardo per il raggiungimento dei target nazionali di produzione di energia da fonti rinnovabili. Infatti, secondo il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), l’Italia deve raggiungere l’obiettivo di produzione di energie rinnovabili sul consumo finale del 30% entro il 2030. Obiettivo che sarà rivisto al rialzo per via della revisione dei target europei che ci vede, secondo gli scenari esistenti, in ritardo con un gap potenziale al 2030 di 23 GW per il settore fotovoltaico e di 2,3 GW per il settore eolico.
Con questi scenari, il Paese dovrebbe fare da subito un piano Marshall di accelerazione di installazione di nuovi impianti rinnovabili, passando anzitutto da una semplificazione degli iter burocratici, avocando, quando necessario, le funzioni amministrative con l’obiettivo di approvare quanti più progetti possibili nei prossimi anni. Occorrerebbe mappare a livello regionale ogni singolo luogo (edificio, terreno, costa e montagna) dove si potrebbe realizzare un progetto di produzione di energia da fonti rinnovabili. Tutto questo va fatto con la consapevolezza che le rinnovabili sono il settore su cui il ritorno dell’investimento in termini di benefici ambientali è il più certo, in attesa di mettere a sistema altre tecnologie sostenibili alternative ai fossili che possano garantire una valida integrazione al portafoglio di fonti di produzione di energia.
Oggi non è più in gioco “solo” il raggiungimento del target dell’Accordo di Parigi sul clima di non oltrepassare l’innalzamento della temperatura climatica di 1.5° rispetto ai livelli preindustriali. Vista la fortissima dipendenza del nostro Paese dalle fonti fossili, la questione energetica, a lungo lasciata senza alcuna visione strategica al caso, deve tornare al centro delle priorità del Paese in maniera duratura, con il fine di emanciparci nel più breve e consentito tempo possibile. Per essere più indipendenti dai mutamenti della geopolitica e avere non da ultimo, un costo dell’energia sostenibile per le imprese e le famiglie. Se i conflitti Stato Regione sugli impianti, potevano essere criticati e persino tollerati in ragione di vederne talvolta l’attuazione con ritardo, oggi non possiamo più accettare di perdere tempo prezioso.