La temperatura a Capitol Hill si è per il momento raffreddata. Tra il partito repubblicano e quello democratico regna un’apparente pace, e il motivo è evidente. La guerra scatenata da Putin ha placato le polemiche di politica interna e ha allineato senatori dem e conservatori in un coro unanime di condanna dell’aggressione di Putin.
Unica eccezione? Donald Trump
L’ex presidente americano non ha mai fatto mistero della sua grande ammirazione per Putin, lodandolo pubblicamente in varie occasioni.
Tra i numerosi esempi, una celebre intervista su Fox News durante le primarie repubblicane del 2016, in cui equiparò Stati Uniti e Russia nel trattamento di dissidenti e giornalisti.
Lo ha poi sempre difeso dalle accuse di aver cercato di influenzare le elezioni del 2016 a discapito di Hillary Clinton (fino al summit di Helsinki con Putin nel 2018, quando addirittura smentì la stessa intelligence americana sul punto).
Sembra incredibile ma, anche ora che l’Ucraina brucia sotto i missili russi, Trump si rifiuta di condannare Putin.
Il 22 Febbraio, due giorni prima dell’invasione militare dell’Ucraina, in un’intervista radiofonica aveva definito Putin un “genio”, commentando la dichiarazione d’indipendenza delle due repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk in Donbass.
Più recentemente, il 10 Marzo, è andata in onda su Fox News, una lunga intervista con Sean Hannity. Intervista a tratti surreale, in cui il conduttore ha provato in tutti i modi ed invano ad ottenere una condanna esplicita delle azioni di Putin in Ucraina. il tycoon non ha attaccato Putin ma solo Joe Biden, accusandolo di incapacità e debolezza.
La frustrazione di Sean Hannity, noto conservatore, rappresenta tutta la distanza tra le elite del partito repubblicano e il trumpismo. I senatori e rappresentanti repubblicani si trovano una volta di più a gestire un delicato equilibrio. Da una parte si guardano bene dall’attaccare direttamente Trump per le sue posizioni filo-russe, consci del grande peso politico che tiene ancora sul partito e sul suo elettorato. Dall’altra, non possono e non vogliono rimanere in silenzio di fronte alle aggressioni russe in Ucraina.
Il timore di irritare l’ex presidente – e di aggiungersi alla lista dei critici di Trump, che puntualmente sono diventati, politicamente parlando, dei pariah all’interno del loro partito -sta tuttavia lasciando il passo ad altre considerazioni.
La prima questione è di ordine morale: l’aggressione ingiustificata dell’Ucraina, stato sovrano e indipendente, è talmente grave che non reagire di fronte ad essa, non condannarla vigorosamente, andrebbe a minare le basi stessa della coscienza politica del pensiero conservatore.
Il secondo punto, collegato al primo, è tutto politico. Se in passato lo zoccolo duro dell’elettorato repubblicano, era compatto nel sostenere Trump no matter what, ora il sentimento degli elettori è molto differente.
Secondo un sondaggio del Wall Street Journal il 90% degli americani ha un’opinione molto negativa o negativa su Putin. Non solo, un altro sondaggio ha confermato che gli elettori repubblicani hanno una visione diversa da quella di Trump: il 61% di essi dichiara di avere una visione positiva di Zelenskiy e il 66% supporta ulteriori sanzioni alla Russia, anche quando esse comportano l’aumento dei prezzi della benzina.
Il risultato è che il partito repubblicano appare determinato tanto quello democratico nel condannare Putin e sostenere nuove sanzioni economiche. E accanto a coloro che criticano Biden di non aver attuato ancora provvedimenti sufficientemente duri nei confronti del regime di Putin, vi è anche una componente repubblicana che si è schierata con Biden, appellandosi alla necessità di un clima di unità.
Tra gli esponenti più in vista, Mike Pence, ex vicepresidente di Trump, è intervenuto per rimarcare che all’interno del partito repubblicano non vi debba essere nessuno spazio per gli estimatori di Putin. E Lindsay Graham, potente senatore del South Carolina, che ha definito sbagliata la caratterizzazione trumpiana di Putin come genio, chiamandolo, più correttamente, criminale di guerra.
Trump, di converso, rimane di fatto isolato nel suo putinismo, sostenuto apertamente solo dai suoi fedelissimi. Come la controversa deputata georgiana Marjorie Taylor Greene, che si ritrova ancora una volta al centro delle polemiche, dopo essere intervenuta a un evento vicino agli ambienti del nazionalismo bianco, durante il quale il pubblico ha iniziato ad acclamare il nome di Putin. O Tucker Carlson, seguitissimo conduttore di Fox News, talmente schierato a favore della Russia da essere stato ritrasmesso nelle televisioni di propaganda russe e cinesi.
Non si può prevedere se lo spostamento del partito da Trump continuerà in futuro. Per ora tanti suoi componenti stanno sfruttando la questione ucraina per smarcarsi, seppur timidamente, dalle sparate del loro leader. Servirà maggiore coraggio per recuperare definitivamente il partito in mano e isolare i suoi elementi più estremi e irricevibili.