La potenza dei numeri e il vuoto pneumatico attorno: il coordinato composto di questi due elementi ha fatto in modo che in questi anni Matteo Salvini sembrasse agli uomini della Lega l’uomo giusto al posto giusto. Tutto ciò che ieri toccava diventava oro (e consenso). Tutto questo oggi è finito. Perché i nodi vengono al pettine, perché a furia di rincorrere il presente la storia ti passa sopra come un rullo compressore, perché dire tutto e il contrario di tutto alla fine ti si ritorce contro…
E così il giorno dopo la figuraccia di Predmysl, il neopacifista Matteo Salvini si ritrova generale di un esercito politico impietrito dalla paura e dalla indecisione. “Pochi hanno voglia di parlare nella Lega – racconta Emanuele Lauria sulla Repubblica – mentre il video che mostra il sindaco della cittadina polacca strigliare il segretario del Carroccio batte ogni record di visualizzazioni. Non c’è un big che fa un commento ufficiale”. Un silenzio glaciale che deve più di meme dichiarazioni. Il sottosegretario Gian Marco Centinaio mastica amaro e ammette: «Ognuno di noi ha la propria storia, non possiamo fare finta di niente e nasconderla sotto il tappeto».
Quella maglietta di Putin diventa simbolo di una sconfitta personale che rischia di portare con tutta la Lega. In privato tutti riferiscono la stessa cosa: «Giorgetti è sconsolato». E poi altro silenzio è ancora silenzio: Luca Zaia e Massimiliano Fedriga muti come pesci. Sotto la garanzia dell’anonimato – racconta ancora Lauria – ci sono però parlamentari di prima fila che raccontano l’imbarazzo: «Tutto molto triste e ampiamente prevedibile. Matteo – racconta uno di loro – doveva stare lontano da uno scenario così delicato, sapendo peraltro che c’era qualcosa che gli potevano rimproverare. Ma avete visto Letta, Conte o Meloni muoversi? Ma il segretario è fatto così, si butta a capofitto. Solo che le conseguenze ora rischiamo di pagarle tutti».
C’è un partito in stallo, legato a doppio filo alla figura del suo leader, per lo Statuto e persino per il nome (Lega per Salvini premier), c’è un partito costretto a subire le oscillazioni del capo, la cui popolarità con il Covid e la guerra è scesa in picchiata.Ne c’è un partito, ormai è chiaro, che nei prossimi mesi dovrà decidere se diventare definitivamente “draghiano” o se invece chiudersi attorno al suo leader bollito. “E sì- sbotta i un leghista della prima ora – Matteo è inadeguato al governo”.