«Restiamo oggettivi». Comincia così l’intervista che Giancarlo Giorgetti ha concesso a Federico Fubini per «Il Corriere della Sera». Che significa restare ben piantati con i piedi per terra rispetto ad una realtà che sfugge allo sguardo della politica, quella della trasformazione energetica tecnologica e industriale che ha delle ricadute sul fronte occupazionale e che potrebbe averne anche quando si tornerà alle urne. «C’è stato un clima di sospensione durato fino al voto per il Quirinale, quindi i partiti saranno proiettati sempre di più verso il traguardo delle elezioni. Il governo deve lavorare nel modo più efficace possibile in questo quadro», ha detto il ministro dello Sviluppo Economico, che ha poi parlato del Superbonus, delle frodi che vi hanno gravitato attorno, dell’edilizia. Un’analisi assai critica quella del leghista.
«Del Superbonus bisogna parlare perché da più parti si chiede che torni la politica industriale in Italia», ha spiegato Giorgetti, rimarcando che vanno dati incentivi per «il mercato di tutti i veicoli ecologici, non solo elettrici. E a settori come il riciclaggio delle batterie e la produzione di bus verdi». Il ministro dello Sviluppo ha poi aggiunto: «Stiamo mettendo un sacco di soldi sull’edilizia che, per carità, può aver avuto senso sostenere nella fase più dura della pandemia e di certo contribuisce chiaramente alla crescita. Ma ora droghiamo un settore in cui l’offerta di imprese e manodopera è limitata. Stiamo facendo salire i prezzi e contribuiamo all’inflazione». Il leghista ha sottolineato alcune contraddizioni: «Chiediamoci cosa può fare lo Stato di fronte alla rivoluzione digitale e energetica o allo choc che investe l’automotive, che deve uscire dai modelli endotermici tradizionali. Invece diamo soldi ai miliardari per ristrutturare le loro quinte case delle vacanze. Ride tutto il mondo. Intanto rischiamo che dilaghi la disoccupazione nell’industria spiazzata dall’imposizione del passaggio all’auto elettrica entro il 2035. Se ci sono decine di miliardi per ridisegnare le filiere industriali, bene. Ma in caso contrario, che stiamo facendo? Droghiamo certi settori e ne lasciamo a languire altri, quelli strategici per l’Italia».
Carlos Tavares di Stellantis ha dichiarato che il passaggio all’elettrico è una scelta politica e avrà costi sociali. Volkswagen dal canto suo ha investito 86 miliardi: «La penso come Tavares. Va abbattuta la Co2, sì. Ma manca una valutazione industriale, sulla sovranità tecnologica e l’autonomia strategica dell’Europa. In tutta questa febbre per l’auto elettrica, chi fornisce le materie prime è la Cina. È lì il controllo di gran parte del litio, cobalto, silicio. Significa mettere il primo settore manifatturiero d’Europa in mano ad altri, lontano da noi. Possibile che nessuno ci pensi?», ha dichiarato il ministro dello Sviluppo Economico. E come si fa a non dargli ragione? Sulle auto elettriche, Giorgetti ha detto: «L’impostazione è chiara. Quando alla Cop26 di Glasgow c’è stata la dichiarazione sull’ineluttabilità dell’elettrico, solo la Germania e noi abbiamo votato contro». E ne è seguito un colloquio con il premier Draghi: «Mi ha chiamato, mi ha chiesto perché mi ero opposto e gliel’ho detto. Siamo per il principio di emissioni zero, ma sulla base della neutralità tecnologica. L’idrogeno può diventare competitivo. E in Italia abbiamo brevetti fra i più avanzati nei biocarburanti. Perché non viene riconosciuto? E anche l’auto ibrida, che ora non piace, può avere un ruolo. Soprattutto in assenza di una rete adeguata di colonnine di ricarica. Con questa furia per l’elettrico ideologica, etica, rischiamo l’autogol». Giorgetti è convinto che il Pnrr si potrà ritoccare: “Il mondo cambia così in fretta che non ha senso lasciare tutto fermo alla foto di un solo momento. Quanto alla politica industriale, va sviluppata. Lo stiamo facendo».
L’elettrificazione avanzerà. Da dove l’Italia prenderà l’energia? «Invidio Emmanuel Macron, che annuncia sei nuove centrali nucleari. Da noi purtroppo è un tabù. Eppure se ora tutte le macchine fossero elettriche, non sapremmo come alimentarle. Dunque le rinnovabili sono una risposta, ma non la sola. Per fortuna il gas è tornato fra le fonti ammesse in Europa per la transizione. Dobbiamo diversificare al massimo i fornitori, rafforzare i rigassificatori, aumentare la produzione nazionale. Ma anche qui, niente illusioni: non si tornerà ai prezzi bassi di due anni fa, perché la Cina deve uscire dal carbone e inizierà a drenare molto gas». Qualche parola infine sul caro-bollette: «Non si vuol fare uno scostamento di bilancio già a inizio anno, che invece servirebbe, dunque si raschia un po’ il barile per trovare cifre importanti anche se non risolutive. Tutti pensano all’industria energivora classica, da aiutare. Ma anche per una pizzeria o una piscina l’energia è il 30% del conto economico». Ragionare su degli aiuti selettivi? «Di certo per distribuire reddito bisogna produrlo e se non tuteliamo i settori industriali, non ci saranno risorse. I politici dovrebbero andare nelle fabbriche a vedere cos’è la creazione di ricchezza. Qui se un benestante si ristruttura casa a spese dello Stato mentre l’industria non ce la fa a andare avanti, qualcosa non mi quadra», l’osservazione amara di Giorgetti.