di Claudio Desirò e Kishore Bombaci
Sentire l’On. Meloni citare, in modo urlato, la Costituzione in Parlamento, farebbe abbastanza sorridere se non fosse grave, sia nei toni che nei contenuti.
Se non si attaccasse ad una interpretazione del tutto personale e strumentale della carta fondamentale, sarebbe interessante seguire le lezioni della “Professoressa”, ma giusto qualche precisazione, per essere pignoli, bisogna farla.
Art. 1: “ La sovranità appartiene al popolo che la esercita votando” è una riforma costituzionale che era sfuggita ai più, rimasti fedeli alla vecchia, ma sempre attuale, formulazione, cioè “… che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Probabilmente ci siamo distratti e non ci siamo accorti delle modifiche personali apportate alla Carta Costituzionale. Le differenze di forma e sostanza, tra ciò che viene espresso dall’Art. 1 e ciò che sostiene la leader sovranista, sono talmente grossolane che solo a causa di un tentativo maldestro di strumentalizzazione propagandistica possono essere giustificate.
Le FORME ed i LIMITI della Costituzione impongono tutta una serie di passaggi formali e sostanziali che consentono al popolo di esercitare la propria sovranità mediante la delega ai propri rappresentanti. La sovranità è delega, non è plebiscito. Che differenza c’è? La delega è a tempo, segna i confini di un patto tra rappresentanti e rappresentati. Consente ai primi di godere del necessario periodo di tempo per dar corpo alla propria proposta politica in relativa tranquillità senza essere sotto il perenne ricatto del voto, e ai secondi di giudicare, alla fine di questo periodo di tempo, se gli impegni sono stati mantenuti oppure no. Il plebiscito invece è un moto di pancia che si esercita in una dimensione immanente del tempo. Dove l’elemento emotivo prevale su quello razionale. Come sui social, sui quali, attraverso slogan privi di contenuto, l’On Meloni, ed il suo sodale Salvini, sono soliti raccattare un consenso non basato sulla sostanza.
Non è ciò di cui parla la Costituzione all’art.1 e solo a queste condizioni, quindi la Meloni potrebbe aver ragione nel dire che la sovranità si esercita mediante il voto. Però quel che l’Onorevole tace, volutamente ed in modo razionale, è che a fine legislatura – nel 2018 – il popolo ha regolarmente esercitato la sua funzione costituzionale. L’attuale Parlamento è frutto proprio di quelle scelte elettorali, regolarmente effettuate dal corpo elettorale nell’esercizio della propria sovranità.
A tale proposito, bisogna ricordare ancora una volta, che in una forma di governo parlamentare il popolo elegge il Parlamento, ed il Parlamento stesso dura in carica 5 anni, conferendo fiducia al Governo, anche sulla base di maggioranze che possono variare. E salvo eventi costituzionalmente patologici, quella durata dovrebbe essere mantenuta. Tutto questo, attenendosi ai limiti imposti costituzionalmente, volutamente e in contrapposizione a eventi politicamente patologici. In quei casi, il saggio costituente ha previsto meccanismi di autotutela costituzionale per evitare il ricatto di cui si parlava sopra.
Le certezze del diritto, sopratutto del diritto costituzionale, vengono ben prima, fortunatamente, delle certezze politiche basate sulla variabilità del sondaggio, dell’umore della pancia, del numero dei like ricevuti sotto ad un post su Twitter, Facebook o qualunque altra tribuna social su cui, i rappresentanti politici odierni, sono soliti andare a produrre la propria proposta politica, i propri slogan.
Avviene così in tutto il mondo. I Paesi che, in questo periodo di crisi sanitaria ed economica, hanno votato, lo hanno fatto perché la legislatura era terminata (USA) o lo faranno al termine della stessa (Olanda), al netto di ciò che taluni politici o politicanti ci vogliono far credere. Di certo, non lo hanno fatto perché, come vorrebbe la Professoressa, i sondaggi mostravano un presunto cambio di sensibilità politica nel Paese. Peraltro, stando alle ultime elezioni regionali, non pare nemmeno ricorrere questo mutamento radicale di sensibilità, presupposto per il quale il Presidente della Repubblica potrebbe sciogliere le Camere.
Spesso i sovranisti si appellano al (residuale) potere del Capo dello Stato di indire nuove elezioni allorchè il tessuto politico del paese sia radicalmente mutato rispetto a quanto rappresentato in Parlamento. Ma ciò non sembra avvenire nel caso italiano. A dir la verità, nemmeno seguendo alcuni istituti sondaggistici, per i quali l’attuale centrodestra non è detto riuscirebbe ad avere la maggioranza. Quindi, per qual motivo si dovrebbe andare a votare? I presupposti costituzionali non ricorrono in nessun modo e da nessun punto di vista. Probabilmente nemmeno i presupposti politici contingenti. E sicuramente, come dimostrato dall’innalzamento dello Spread nei giorni scorsi, mancano anche i presupposti relativi ad un possibile beneficio per il Paese, a differenza di quello che gli urlanti sovranisti raccontano.
Quindi che cosa è la richiesta di elezioni anticipate? Solo mera propaganda. Apparentemente colta certo, ma sempre propaganda che, in realtà nasconde una profonda ignoranza sui meccanisimi fondamentali dello Stato. Ignoranza che se scusabile nel cittadino, lo è molto meno per chi siede sullo scranno parlamentare da svariati decenni, a dispetto del presentarsi sempre come “Il nuovo che avanza”. Un “nuovo” che siede in più Istituzioni da troppo tempo per non conoscere appieno i limiti imposti dalla Costituzione.
Quindi, e torniamo all’articolo 1 Cost, i limiti costituzionali alla sovranità popolare, non sono di natura politica, tantomeno sondaggistica – se ne facciano una ragione i pasdaran del voto a tutti i costi- ma da una serie di procedure specifiche nelle quali gli organi costituzionali coinvolti debbono esercitare ogni funzione prevista dalla Costituzione repubblicana. Ma che cosa è questa sovranità? Non si tratta del potere assoluto e arbitrario che non può essere conferito né a uno (re, dittatore e quant’altro), né a organi costituzionali collettivi (il corpo elettorale). La sovranità è una condizione di diritto e non di fatto, che si esercita in certe forme, e, dal punto di vista sostanziale, con doverosa consapevolezza.
Questo, invero, dovrebbe essere il compito della politica. Rendere consapevole il popolo, educarlo e accompagnarlo alla partecipazione politica. Cioè, metterlo in condizione di liberamente formarsi il proprio giudizio che troverà espressa manifestazione ogni cinque anni, alle urne. Non prima e non certo a ogni mutamento di pancia. Ecco perché l’analfabetismo costituzionale non è accettabile. A maggior ragione se proviene dalla classe dirigente. E’ il segno del fallimento culturale di una classe politica che usa la Carta fondamentale come una clava propagandistica contro il nemico politico. Questo non si può accettare davvero. La storia di questo paese insegna che la Costituzione è un testo vivente, nato dal sangue di tanti che si sono battuti per la libertà e per la patria, libera e democratica. Merita il rispetto che si tributa a un antenato illustre. A qualcuno, senza il quale non saremmo ciò che siamo. E allora non la si può strumentalizzare, né tantomeno farlo con tale superficialità e becera propaganda.
E se non lo si fosse mai fatto prima, sarebbe buona norma leggere e comprendere la nostra Costituzione prima di proporsi ad occupare uno scranno parlamentare. Per opportunità, per cultura personale o, anche solo, per evitare citazioni errate, proprie interpretazioni e pessime figure.