I pescatori sequestrati in Libia e l’inadeguatezza della politica estera italiana

La sorte dei pescatori italiani fermati dall’Esercito Nazionale Libico, guidato dal General Haftar, e accusati come altri in passato di aver violato le acque territoriali libiche, è appesa a un filo. Tra circa un mese infatti, i nostri connazionali verranno processati assieme ad altri pescatori da un tribunale militare speciale la cui sentenza è ovviamente scritta in partenza. Tutto ciò a meno che Roma non ceda alle richieste di Bengasi e provveda al rilascio di quattro scafisti libici, già condannati a 30 anni di carcere per omicidio e traffico di migranti.

La situazione, di per sé molto delicata, mette in luce la drammatica debolezza del nostro paese in quello che in passato era chiamato, forse con troppa confidenza, il “giardino di casa” dell’Italia. A partire dall’avventura militare francese del 2011 e dalla conseguente rimozione di Gheddafi, Roma ha gradualmente perso la sua influenza economica e diplomatica sull’ex colonia. Ciononostante, tuttavia, l’Italia è sempre riuscita in un modo o nell’altro a risolvere da sola queste dispute che periodicamente vedono opporsi le pretese libiche ai diritti riconosciuti del nostro paese. Oggi, purtroppo, ci svegliamo nella consapevolezza che quel poco di influenza che era rimasta non esiste più.

Il titolare della Farnesina, Luigi Di Maio, per adesso si è limitato alle dichiarazioni di rito, che segnalano l’apparente volontà di non cedere alle richieste dell’autoproclamatosi “Signore della Cirenaica” con il quale ha persino rifiutato di incontrarsi nel suo recente viaggio in Libia, e a ricevere le famiglie dei pescatori accompagnati dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Tra promesse difficili da mantenere ed ostentando la falsa sicurezza tipica dei principianti, Di Maio si è lasciato sfuggire che il Ministero sta lavorando per l’intercessione degli Emirati Arabi e della Russia (ma non della Francia, da lui in passato accusata di avere una relazione privilegiata con Bengasi) sul Generale.

Una vera e propria ammissione di irrilevanza in quella che dovrebbe invece essere la principale area strategica di Roma. Che Di Maio fosse inadeguato al ruolo che ricopre lo si era già capito, ma la sua incompetenza può oggi costare la libertà a 18 italiani e la definitiva perdita di rilevanza nel Mediterraneo al nostro paese.