Le elezioni regionali della Sardegna oggi e ancora per qualche giorno terranno banco nel chiacchiericcio della politica e nei tolk show poi, come nebbia al sole, tutto svanirà fino alla prossima scadenza.
Ma di cosa si ragiona? Partire sempre dai numeri, dalle persone e dalle specificità locali per comprendere un voto quando il 50% non va a votare sono pensieri vuoti che danno per scontato che questo, cioè la sconfitta della politica, sia ormai un dato irreversibile.
Metà degli elettori non si reca alle urne e il nuovo governatore eletto, sicuramente legittimato dal voto, rappresenterà una minoranza, ed un’altra si opporrà ad esso.
Questo è lo schema del partito unico populista sovranista illiberale con le sue correnti destra, sinistra e centro.
In Sardegna probabilmente, per una manciata di voti sarà la corrente di sinistra a “vincere” questa tornata elettorale ma per la parte di Sardegna che vuole, spera in un reale processo di cambiamento, di crescita economica non cambierà assolutamente nulla, mentre per la parte conservatrice sarà una nuova conferma dei propri interessi corporativi.
I liberaldemocratici si sono persi ancora una volta al dì là di come si sono collocati
Calenda, Renzi, Bonino o chi per loro. Sono volti falliti della stessa moneta e il fallimento è ancora più grande se tutto viene ridotto ad una presunta alleanza con i 5 stelle ipotizzando che la “soluzione” stia in questa sterile alchimia delle alleanze.
Ci nascondiamo dietro la classica frase: la politica è l’arte del possibile e così le prossime amministrative di ogni ordine e grado saranno lastrecate di “mostri” in cui il liberalismo soccomberà in nome di una assurdo realismo politico e quel pezzo di società, la società aperta, non solo continuerà a rimanere a casa ma gli verrà detto direttamente: rimani a casa, non disturbare i manovratori di questa non politica.
Tutto ciò ci dice, per l’ennesima volta, che la necessità di costruire un partito che rappresenti veramente i tanti cittadini liberali e democratici che in Italia non hanno ancora una casa politica non è più prorogabile, che è questa l’alternativa vera al populismo sovranismo illiberale comunque etichettato.
È inutile parlare di liste di scopo buone solo per avere qualche seggio in più alle elezioni perché da esse non nascerà mai nessuna alternativa.
Se il “Patto Repubblicano” continuerà ad essere sommatoria di sigle, alchimie di alleanze bizzarre (vedi 5 stelle), sterile pragmatismo incentrato sulla tecnocrazia delle competenze, non potrà mai essere l’alternativa oggi assente dal panorama politico.
Se esso, al di là della soluzione o meno dei problemi del contingente, non rappresenterà un’idea di società fondata su un insieme di valori non potrà mai essere riferimento per quel pezzo di società oggi coscientemente esclusa e i valori, avendo ben presente lo scontro di civiltà in atto e che non potrà esaurirsi nel giro di qualche lustro ma sarà una costante temporale, non possono che essere quelli del liberalismo.
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La libertà è la condizione unica e insostituibile per dare senso alla parola progresso.
Siamo qui orfani di un Terzo Polo fallito il giorno dopo le elezioni, tradendo le aspettative della campagna elettorale, ridotto alla sterile sommatoria di due classi dirigenti prevalentemente di ex PD autoreferenziali.
La fase costituente del soggetto politico ipotizzato deveva prevedere la partecipazione di ognuno a prescindere dai ruoli di responsabilità in essere e avere il coraggio di mettersi in discussione, in gioco, uscendo dai recinti dell’esistente, per definire una nuova classe dirigente fondata sulle competenze e merito e non più in base alle appartenenza del passato. Una nuova classe politica in cui le competenze non si esauriscono in quelle presenti dentro le attuali strutture di partito e nei vari livelli istituzionali.
Fuori da essi c’è un mondo che lavora, studia, fa impresa, fa volontariato che è in grado di assumersi responsabilità di azione politica e di governo ai vari livelli. Essere eletti non basta per essere bravi politici e non basta nemmeno il consenso.
Una nuova classe dirigente per essere guida di una comunità deve sapere attingere al pozzo della sapienza, individuare una gerarchia di valori e incarnare legami che non possono essere ridotti a interessi individuali o di parte o vincoli giuridici tra elettore ed eletto. Caso contrario continueremo ad essere invasi dagli stereli personalismi a tutti i livelli, a difesa dei ruoli oggi ricoperti, ma soprattutto nella palese incapacità di immaginare e progettare il futuro.