Alberto Scagni è in coma dopo un brutale pestaggio avvenuto nel reparto protetti del carcere di Sanremo. Era stato trasferito lì dopo aver subito un’altra aggressione nel penitenziario di Genova. Il fatto è gravissimo e si possono ben comprendere i timori di due genitori che, dopo aver perso una figlia, temono di perdere anche il secondo, assassino ma pur sempre figlio.
Il soggetto è affidato alla custodia dello Stato, in un reparto in cui le cautele sono anche maggiori e comunque i detenuti sono accomunati, e quindi condividono medesima sorte, da reati invisi alla maggioranza dei ristretti (e la promiscuità di cui si è letto sta nel diverso titolo di reato -violentatori sessuali, pedofili, collaboratori, appartenenti alle forze dell’ordine- e non nella possibile vicinanza agli altri autori di reati cd. non infamanti, che stanno in altre sezioni e che non li incontrano).
Le organizzazioni sindacali del personale di polizia, sempre pronte (e le sole) a riferire sugli accadimenti, avrebbero testimoniato di lunghe torture ad opera di altri detenuti, alterati da fumi di alcol artigianale e che solo “grazie” al provvidenziale intervento dei poliziotti non è sfociato tutto in un omicidio. Ma davvero nessuno si chiede come sia stata possibile un’aggressione così lunga e violenta? Ma dov’era il personale? Anche se in numero ridotto nel turno notturno, proprio il silenzio della notte dovrebbe immediatamente far cogliere i segnali di qualcosa che non solo inizia ma addirittura dura nel tempo. Facile immaginare poi che l’odore della frutta messa a macerare inondi tutto il reparto interessato. Ma come è potuto succedere? Una seconda volta, poi.
Leggi anche: Guido Crosetto e l’incredibile congiura della magistratura
Ci si augura davvero che un’inchiesta faccia luce su quanto avvenuto, giudiziaria e anche ministeriale, nella speranza che non ci siano sconti per alcuno, anche da parte di una compagina governativa che a volte pare dare l’idea di una vicinanza quasi a-critica alle forze dell’ordine.
I due genitori lasciano trasparire una possibile vendetta dello Stato nei confronti di chi non meriterebbe comprensione e pietà. Presumibilmente, si è trattato di un omesso controllo. Gravissimo comunque. Se lo Stato non riesce, per la scarsità di mezzi e operatori, a garantire il dettato costituzionale di una pena non inumana che tenda alla rieducazione del condannato, deve almeno assicurare l’incolumità dei ristretti, salvando loro la vita. Davvero il minimo sindacale. Imprescindibile.