Giorgio Ruffolo (socialista) affermava che il rivoluzionario esiste a prescindere se mette in atto la rivoluzione o no, il riformista esiste se fa le riforme e si assume l’onere della prova altrimenti non ha senso. Dunque è la riforma con la cultura politica che ne sta alla base e i contenuti che esprime a identificare il riformista. Quindi l’aggettivo riformista è di per se generico, vago, insignificante in attesa di assumere un’identità con la riforma che propone, persegue, realizza.
Una forza politica che aspira ad essere la casa dei riformisti, parafrasando Pirandello, vuol dire che non ha una sua specifica identità politica ma bensì centomila, il che equivale a non averne nessuna. Appunto uno, nessuno, centomila. Azione, piaccia o meno, sta diventando questo. Un partito dal vasto pluralismo interno i cui riferimenti sono inevitabilmente rivolti al passato, la necessaria sintesi non è data da una specifica identità politico culturale che guarda al futuro del Paese ma da Calenda in quanto persona e questo rende Azione un partito personale, leaderistico, al di là della retorica sui congressi, al pari di Italia Viva e di Renzi, solo che Renzi in questo è più bravo. Nessuno si arrabbi ma questo è un dato di fatto. Oggi il fatidico fronte repubblicano è una sommatoria di culture politiche anche opposte di cui la cultura liberale ne è solo una parte e a questo punto nemmeno maggioritaria e che non rappresenta più la sintesi superiore come eveva lasciato intravedere quel polo liberale proposto, anche se in modo confuso, alle politiche.
Unire riformismi e riformisti, il come, quando e perché sarebbe opportuno porselo, è l’espressione che mantiene viva e consolida quella visione del PD come partito riformista, oggi allo sbando in preda alla presunta grillizzazione, verso cui occorre mantenere aperte le porte per recuperare la presunta cultura riformista smarrita. Non sto a ripercorrere la storia del PD ma il dato che mi preme sottolineare è che la cultura politica dominante cattocomunista in chiave antisocialista perpetuatasi anche dopo la caduta del muro di Berlino di fatto non lo rende e non l’ha mai reso massimalista/rivoluzionario in base agli schemi arcaici del 900. Il PD era ed è un partito riformista inteso nella genericità e vaghezza del termine in cui il grillismo generato dalla cultura comunista mai ripudiata dalla sinistra può tranquillamente inserirsi e contribuire a perpetuare la tradizione del riformismo senza riforme. Il bipopulismo del bipolarismo si regge essenzialmente su questo schema. Di per se affermare di voler andare oltre la logica di destra e sinistra vuol dire tutto e il suo contrario.
La politica del desiderio: un nuovo futuro per il paese
È la cultura liberale lo spartiacque tra passato presente futuro in cui il liberalismo non è solo idee tipo per esempio Mercato, Tolleranza, Pluralismo ma è metodo di guardare le cose e conseguentemente di lavoro che definiscono l’essere riformista attraverso le riforme proposte, perseguite, realizzate espressione dei valori e idee liberali. Se guardiamo ciò che accomuna oggi il fronte bipopulista destro sinistro, oltre alla totale incapacità di comprendere i processi socioeconomici indotti dall’epoca 4.0, troviamo il corporativismo che giudica moralisticamente il lobbismo trasparente delle democrazie liberali per poi agire sotto traccia in favore di questa o quella corporazione; la logica, sedimentata sin dall’inizio della repubblica, che vede il lavoro non come un’opportunità da costruire ma una pretesa da rivendicare che premia il cittadino-lavoratore rispetto al cittadino-cliente guardando con diffidenza moralistica al profitto ripudiando di fatto la proprietà privata, ci accorgiamo che questi sono tratti distintivi anche di chi si aggettiva riformista, una su tutte la socialdemocrazia, ma anche l’area popolare cattolica, culture certamente non secondarie del fatidico fronte repubblicano. Tutto ciò ha permeato ampia parte della società e che oggi siamo chiamati a superarla se veramente ci sta a cuore il futuro dei nostri figli e non continuare a perpetuare stupidi luoghi comuni. In sostanza la rivoluzione liberale di cui parlava Berlusconi negli anni 90 va fatta davvero.
Così come va realizzata davvero quella seconda Repubblica di cui si sparla a vanvera ma che è ancora di là da venire e non può che fondarsi sul profondo riesame costituzionale non limitato solo alla seconda parte. Per questo è più che mai necessario mettere mano alla costruzione di quel partito liberaldemocratico che sappia parlare il linguaggio della nuova epoca e sia attrattivo per qualunque elettorato. Questo di certo non accadrà come invece ritengono alcuni ormai ex terzopolisti grazie ad un cartello elettorale di partitini composti prevalentemente da ex PD allargato agli ex Radicali e ne tantomeno grazie al fatidico fronte repubblicano appiattito sul quotidiano senza una visione, senza un sogno. La gente ha bisogno anche di questo. Il riformismo di per sé non fa sognare.