L’ipotesi di un possibile congelamento delle forniture militari a Kiev, raccontata ieri prima di essere smentita dal ministro della Difesa Crosetto, è un cattivo messaggio ai nostri alleati. L’ha spiegato chiaramente in un’intervista a «Formiche» il prof. Vittorio Emanuele Parsi, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che ha appena dato alle stampe il volume “Il posto della guerra e il costo della libertà” (Bompiani). “Si rischierebbe di essere percepiti come fautori di un atlantismo tutto vocale, caratterizzato da una resa di fronte alle pressioni interne alla maggioranza”, ha spiegato l’esperto a Francesco De Palo. Parsi ha osservato che un cambio di passo a pochi giorni dall’insediamento del nuovo esecutivo sarebbe stato una cosa molto grave, una “rottura con la continuità del governo Draghi”, che era stata assicurata da Meloni.
Bisogna mostrarsi compatti: tentennamenti sull’invio delle armi a Kiev possono essere interpretati come dei chiari segnali di debolezza. “Penso alle resistenze della Lega, che ci sono sempre state. Ma ha qualche mal di pancia anche Forza Italia, anche se più soffuso. Ed è chiaro che questo voler rinfocolare la polemica in Parlamento sull’annosa e sciocca questione tra armi difensive e armi offensive, come se esistesse una differenza, non fa bene”, ha evidenziato il professor Parsi. Quest’ultimo ha commentato poi le recenti dichiarazioni dell’ambasciatore russo Razov, che ha insinuato una presenza di militari italiani in Ucraina: “Noi sappiamo che non esiste nessun coinvolgimento militare diretto italiano in Ucraina, mentre evidentemente le forze militari italiane, nell’ambito della difesa collettiva della Nato, sono dispiegate sia nelle repubbliche baltiche sia al comando del nuovo gruppo in Bulgaria. Questo fa parte dei doveri dell’alleanza. E ben venga che facciamo questo tipo di attività”.
A proposito della visita di Meloni a Kiev Parsi ha dichiarato: “È importante dare un segnale di fermezza, tanto più adesso che i russi tornano a minacciare l’utilizzo di armi atomiche e che dispiegano non meglio identificati sistemi d’arma in Bielorussia e a nord dell’Ucraina. Dovrà dare un segnale anche all’interno di un variegato e politicamente incomprensibile movimento pacifista che chiede agli ucraini di smettere di difendersi perché non è capace di chiedere ai russi di smettere di attaccare. È la follia più totale e purtroppo molte autorevoli voci sono a sostegno di queste tesi irrealistiche che sono veramente agghiaccianti per quello che è il progresso del diritto internazionale e della politica internazionale nella seconda parte del XX secolo”. L’esperto ha poi evidenziato: “Purtroppo alcune voci alimentano e accarezzano la paura, anziché fornire rassicurazioni e analisi razionali sulle strategie da seguire per rintuzzare l’aggressione”.