Nome in codice: “Malta 2”. Obiettivo: fermare Giorgia Meloni. Sì, forse un modo per disinnescare la vittoria della leader di Fratelli d’Italia che fa paura all’Europa, c’è ed è l’accordo della “coalizione dei volenterosi”, che d’ora in poi garantirà la redistribuzione di molti migranti dai Paesi affacciati sul Mediterraneo come il nostro. A Parigi, Berlino e Bruxelles si è infatti chiusa nelle ultime settimane l’intesa più rilevante da anni: prima della fine di agosto — e dell’ultimo miglio della campagna elettorale italiana — migliaia di migranti sbarcati sulle coste italiane o greche o spagnole saranno ricollocati in ben 22 Paesi, e non solo Ue: ci sono anche l’Islanda, la Svizzera e altri partner Schengen.
Nell’immediato, la Germania e la Francia accetteranno la quota più generosa, rispettivamente 3.500 e 3.000 migranti. Un dettaglio importante – scrive oggi Repubblica – riguarderà anche la tipologia delle persone da ricollocare: non saranno solo profughi, anche i cosiddetti “migranti economici” che sono il cuore della propaganda delle destre sovraniste. Secondo importante dettaglio: ai Paesi più colpiti dall’immigrazione saranno riconosciuti 160 milioni di euro di fondi Ue più altre quote aggiuntive dei 22 Paesi che hanno aderito all’accordo. «E all’Italia — annuncia una fonte diplomatica al quotidiano nazionale — toccherà la parte da leone».
Terzo dettaglio, fondamentale dal punto di vista politico: 8 miliardi di euro saranno destinati ai Paesi d’origine dei migranti e i respingimenti lì saranno enormemente rafforzati — una fonte comunitaria la battezza «politica europea dei rimpatri». Ciò dovrebbe togliere forza a un altro argomento della campagna elettorale di Fratelli d’Italia. Altro particolare piccante: gli unici due Paesi che si sono rifiutati sia di aderire all’accordo sui ricollocamenti sia di concedere fondi all’Italia e agli altri partner affacciati sul Mediterraneo sono l’Ungheria e la Polonia, guidati da due storici alleati di Giorgia Meloni, Orban e Morawiecki.
Ieri girava voce che la leader di Fratelli d’Italia voglia incontrare il cancelliere tedesco Scholz e il presidente francese Macron. Una notizia ancora non smentita né confermata ma che a Berlino viene accolta con il consueto pragmatismo. «Abbiamo l’impressione che sia interessata a un dialogo costruttivo». Ma è altrettanto chiaro che nelle due capitali ci sono delle linee rosse: il famoso comizio di Meloni in Andalusia è stato uno shock, a nord delle Alpi. Sul fascismo e sull’antisemitismo non si scherza, in Europa.
Anche se Meloni volesse immettersi sulla scia dei suoi modelli, Polonia e Ungheria, sulla lesione dei diritti delle persone lgbt+ o sulle minoranze, l’altolà sarà immediato. «Sui diritti umani non si negozia» fanno sapere da Berlino. Diverso il discorso sull’aborto: lì l’Europa ha dovuto riconoscere a Varsavia il diritto a legiferare in autonomia e di abolirlo quasi del tutto. Più difficile intervenire in quel campo, secondo Berlino. Mentre una fonte politica francese ricorda che Macron ha una posizione diversa: il presidente francese voleva inserire il diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. E a Parigi non hanno neanche dimenticato, ricorda la fonte, «che Meloni è stata l’unica a opporsi al Trattato dell’Eliseo” tra Francia e Italia. Un terzo elemento che angoscia Parigi e Berlino è l’annuncio di Meloni di voler far prevalere il diritto nazionale su quello europeo, copiato da Marine Le Pen: “rischia di disgregare l’Europa”, avverte la fonte.
Poi c’è l’economia. E’ vero che la Bce ha appena varato uno scudo anti-spread. Ma la ‘conditio sine qua non’ per beneficiare della protezione contro gli spread eccessivi è che l’Italia sia in regola con il Patto di stabilità e con i parametri per ricevere i soldi del Recovery Fund. Soprattutto: «la decisione finale è demandata al Consiglio direttivo” ricorda una fonte della Bce, dove siedono anche i falchi che in caso di grossi sforamenti del deficit e sfide al Recovery potrebbero bloccare tutto, lasciando l’Italia in balia degli spread alle stelle.
Infine, nel prossimo autunno si entrerà nel vivo della riforma del Patto di stabilità: anche qui i “soliti” tedeschi, olandesi, finlandesi o austriaci potrebbero tirare il freno a mano sulle modifiche chieste apertamente da Mario Draghi come il taglio del debito concordato con la Commissione Ue o l’esclusione di determinate spese per investimenti dal disavanzo.
Lo slogan di Meloni: «meno Europa ma meglio» dimentica sempre un dettaglio: è l’Italia, con il suo debito pubblico al 150% ad aver bisogno dell’Ue e della Bce.