Giorgia Meloni

L’Europa non dimentica quei 5 “no” di Giorgia Meloni al Recovery

Claudio Tito su “Repubblica” ricorda ai lettori le ragioni per cui l’Europa è così spaventata all’idea che la destra sovranista, estremista e nazionalista abbia la meglio alle prossime elezioni. Sono cinque le date che a Bruxelles non possono proprio dimenticare: 13 ottobre 2020, 15 dicembre 2020, 10 febbraio 2021, 24 marzo 2021 e 27 aprile 2021.

Sono quelli i giorni in cui Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni, nelle aule di Camera e Senato e in quella del Parlamento europeo, ha evitato con cura di votare a favore del Recovery Fund, come pure del Pnrr messo a punto dal governo Draghi. E non si sono limitati ai voti di astensione, hanno espresso pure aspre critiche nei confronti dell’Ue e dell’euro. “Una visione del mondo e del Vecchio Continente che non risale a qualche nostalgico decennio fa, ma agli ultimi 21 mesi. Spesso in compagnia della Lega”, rimarca il corrispondente di “Repubblica”. Sono dati, fatti, episodi realmente accaduti. A Bruxelles non si basano su sensazioni.

La differenza forse sta in questo: la politica italiana ha una memoria labile, mentre nei Palazzi europei hanno l’abitudine di ricordare di più e meglio. Il 13 ottobre del 2020 durante una risoluzione sulle linee programmatiche del NextGenerationEu e quindi sugli oltre 200 miliardi messi a disposizione dell’Italia, il centrodestra (Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia) si mostrò compatto contro gli aiuti europei. Andrea De Bertoldi, incaricato di parlare al Senato a nome del gruppo “meloniano”, disse: «Non arriverà un grande aiuto dall’Ue» e questo Recovery è «un manuale delle banalità». Massimo Garavaglia, poi diventato ministro con Draghi, con ironia esclamò: «È solo poesia». Un altro leghista, il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari, parlava di «cavallo di Troia per andare a mettere becco nella nostra politica di sicurezza».

Una scena che si è ripetuta seppur con qualche variazione per altre quattro volte. Tutto questo per far capire il giudizio negativo che una buona parte della politica italiana aveva sul Pnrr. Proprio quel programma di riforme che l’Ue si aspetta dall’Italia. Una tuffo nel passato (neppure troppo passato) che ci porta a chiederci: in caso di vittoria del centrodestra che fine farà allora il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza? E gli altri 150 miliardi che Bruxelles dovrebbe erogare fino al 2026? Sono questi i dubbi con cui si conclude l’articolo di oggi di Claudio Tito. E i dubbi del giornalista sono i nostri.