La caratteristica genetica del populismo è quella di amare così tanto l’opposizione da farla anche quando stanno al governo. Insomma, si fanno opposizione da soli!
Come ricorda oggi su Il Foglio Sabino Cassese, quando a Bertoldo venne chiesto di comparire davanti al re non vestito e non nudo, egli si presentò con una rete addosso.
Ecco il populismo è così, sta un piede dentro e un piede fuori, perennemente provvisorio e pronto a far saltare il banco per un capriccio. Ne è la cifra essenziale, non vi sono alternative.
Poi, a parziale evoluzione (si fa per dire!), c’è il populismo 2.0, quello colto e raffinato di chi al governo nemmeno ci prova a stare. Ogni riferimento a Giorgia Meloni è puramente voluto. Dalla trincea di una opposizione perenne e urlante, per lei il governo è solo il Santo Graal da desiderare senza mai volerlo veramente. Un desiderio proibito, quasi erotico, che sarà suo malgrado destinata a soddisfare per palese demerito degli avversari. In Giorgia però la lotta è una dimensione intrinseca e psicologica e prevarrà sempre sul “governo”. La sua esperienza da premier (se mai ce la farà!), sarà un interessante esperimento di sociopatia politica. D’altra parte se ci tocca, tanto vale divertirsi!
Il problema, però, è che questo atteggiamento “di lotta e di governo” è l’esatto opposto della politica che, in ultima analisi, dovrebbe significare responsabilità, di governare e amministrare. O, detto in termini più popolari, correre il rischio di scontentare qualcuno nelle necessarie mediazioni che in politica si fanno.
Ma poiché il fondamento dello stare un po’ di qua e un po’ di là sta nel fatto di apparire come puro e perentorio e di far promesse a questo e quello, a un certo punto, quando poi c’è da mantenerle quelle promesse, l’inganno viene disvelato.
Sono pagine memorabili quelle dei Cinquestelle che promettevano che non si sarebbero alleati mai con nessuno, e poi si sono alleati con tutti, pur di rimanere attaccati al sacro scranno.
A ben vedere, Cassese ci offre una interessante chiave di lettura per comprendere l’attualità.
Conte-Bertoldo si trova nel più classico cul-de-sac. Se stacca muore politicamente, ma se non stacca muore politicamente in egual misura. E infatti, lo si vede sparuto e timido “a metà del guado” dovendo governare l’ingovernabile, da leader di quella parte di grillini che proprio il senso istituzionale non sanno nemmeno cosa sia. Pagine illuminanti in questo senso provengono dalla Taverna, il cui eloquio per forma e sostanza, assomiglia molto a ciò che il cognome evoca.
Al contrario, quelli un po’ più normali, Di Maio e i suoi tanto per intenderci, o per convenienza o per convinzione hanno capito che – sempre per citare Cassese – o ti fai istituzione oppure non sei nessuno, e quindi hanno prontamente abbandonato la barca che affondava. Se poi la scialuppa nella quale son saliti li porterà sulla terra ferma o naufragherà molto presto, lo si scoprirà nel prossimo futuro. Però, ad oggi, almeno in apparenza, quel profilo simil-istituzionale provano a darselo.
Effettivamente per Di Maio invocare il valore della stabilità e della responsabilità politica senza mettersi a ridere è uno stress test di un certo rilievo. Come si cambia per non morire, diceva un vecchio adagio.
Nell’analisi della doppia identità del populismo poteva poi mancare lui, il re dei populisti: Matteo Salvini? Ovviamente no. Già da un minuto dopo l’annunciata crisi contiana, Matteo invocava elezioni anticipate (come se queste facessero bene al paese), cogliendo immediatamente al balzo la natura “di lotta” dell’elettorato della Lega che evidentemente soffre quella “di governo”. D’altra parte l’opportunismo politico non è dote che manca al Matteo meneghino che ha pensato bene di provare il colpo di reni per rialzare l’asticella di un consenso ormai in caduta libera. Accomunato a Conte nel vortice verso il basso, curiosamente, ambedue danno la colpa all’esperienza di governo quale causa presunta della perdita di appeal, senza rendersi conto che il problema è ben altro. D’altra parte, se si è di lotta non si può essere di governo e se si è di governo, non si può essere di lotta. Non esiste una rete bertoldina che consenta di soddisfare ambedue queste nature. Bisogna decidere. E questo ai populisti notoriamente non riesce.
Infatti, anticipato da Conte nello staccare la spina al governo, Salvini è rimasto un po’ a metà del guado, appunto, mezzo di qua e mezzo di là.
L’occasione di riscatto arriverà a Pontida, la tradizionale kermesse leghista dove il Capitano potrà misurare gli umori della base e, come suo solito, adeguarcisi senza provare – fosse mai! – a provare l’ebbrezza di essere leader invece che follower! E, poiché è da supporre che i militanti leghisti non vogliano esser da meno rispetto a quelli pentastellati, è prevedibile a breve una Lega molto di lotta e poco di governo.
In tutto ciò c’ è l’interesse del Paese che richiederebbe un governo serio, ma ai populisti – si sa -interessa vincere, mica governare!