Qualcuno a spieghi a Giorgia Meloni che la politica del “sempre no” a prescindere non serve a niente. E che opporsi oggi allo ius scholae ma aver sostenuto l’introduzione dello ius culturae, seppur con le opportune differenze tra le due proposte, fa della Meloni la solita estremista che tende sempre a costruire steccati ideologici e mai a cercare la strada del confronto tra le diversità.
“No all’automatismo dello #iussoli – scriveva nel 2014 Giorgia Meloni -. Sì allo #iusculturae per chi è fieramente di cultura italiana dopo aver finito la scuola dell’obbligo”. Ma Donna Giorgia soffre evidentemente di amnesie, perché oggi si oppone ad un criterio che assegna la cittadinanza ai figli di stranieri nati in Italia che si basa però sempre sulla cultura, principio che lei stessa sosteneva nel 2014. È sempre la solita storia: erigere muri invece di progettare cattedrali. Chiusura contro apertura. Perché ciò che differenzia lo ius culturae dallo ius scholae riguarda esclusivamente la durata del completamento di un ciclo, cinque o otto anni, di scuola. Nella sostanza il provvedimento si basa sullo stesso principio. Nel 2014 la Meloni era favorevole al ciclo da otto, oggi dice no a quello da cinque. Ma perché, allora, invece di urlare all’invasione non presenta un emendamento per adattare lo ius scholae alla proposta che lei stessa nel 2014 sosteneva?
Lo stesso, identico, gioco allo sfascio di sempre, carico solo di propaganda ma privo di sostanza.