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50 anni dall’omicidio di Luigi Calabresi, il figlio: “Fedele fino alla fine ai suoi valori”

Sono passati cinquant’anni dal 17 maggio 1972, il giorno in cui il commissario Luigi Calabresi venne assassinato sotto casa a Milano. Era l’alba degli Anni di Piombo, tre anni prima c’era stata la strage di Piazza Fontana, come racconta il figlio Mario, ma «per la prima volta con quell’omicidio era stato scelto un bersaglio, era stata costruita una campagna per distruggerlo e screditarlo e alla fine lo si era eliminato. Sarebbe successo centinaia di volte negli anni successivi. Magistrati, poliziotti, carabinieri, sindacalisti, professori, operai, medici, guardie penitenziarie, giornalisti, studenti e uomini politici sarebbero stati messi nel mirino, trasformati in simboli e disumanizzati e poi colpiti a morte, gambizzati, resi invalidi». 

L’Italia non ha dimenticato Luigi Calabresi. Oggi è la giornata per mantenere viva la memoria di tutte le persone come lui che hanno perso la vita in un tempo feroce. «La domanda che mi faccio è a cosa siano serviti questi cinquant’anni, se siano passati invano, se siano solamente serviti a scolorire i ricordi, a dimenticare, a rimuovere. Se il gesto violento abbia vinto per sempre o se invece il tempo, alla fine, abbia restituito qualcosa e reso giustizia. Per molto tempo la solitudine, il silenzio e un diffuso disinteresse, forse figlio dell’imbarazzo, forse del fastidio, hanno circondato le vittime del terrorismo e i loro familiari. Difficile, quasi impossibile riuscire a far sentire la propria voce, essere ascoltati», le affermazioni di Mario Calabresi alla Camera dei deputati in occasione del Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi. Poi però qualcosa è cambiato: sono arrivati i primi segni di attenzione da parte del Quirinale. «Sono stati i presidenti della Repubblica, è importante ricordarlo, a svegliare la coscienza del Paese, ad aiutare l’opinione pubblica a ricordare. Ha cominciato Carlo Azeglio Ciampi, con un’opera di attenzione verso gli uomini dello Stato uccisi perché difendevano le Istituzioni e la democrazia», ha spiegato il giornalista e scrittore italiano. «L’esempio che è arrivato dall’alto ha cambiato la direzione del dibattito pubblico, non si sono quasi più visti ex terroristi pontificare in televisione, le voci delle vittime hanno trovato uno spazio nuovo, e l’esempio ha contaminato la società», ha aggiunto.

A seguire un bel ritratto di Luigi Calabresi: «Lo possiamo ricordare per quello che era, pulito da calunnie e campagne diffamatorie. Era un giovane funzionario di polizia, venne ucciso a soli 34 anni, (io oggi ne ho ben diciotto più di lui) che amava profondamente il suo lavoro. Lo interpretava come una missione, pensava che il dialogo fosse l’arma migliore, tanto che girava senza pistola. L’arma la teneva a casa, smontata, nel cassetto dei maglioni a collo alto. (…) Restò fino alla fine fedele ai suoi principi e ai suoi valori e scelse, consapevolmente, di non scappare anche quando il clima era diventato pesantissimo e l’aria, intorno a lui, irrespirabile. Sono passati cinquant’anni ed è venuto il momento di consegnare quel tempo alla Storia e alla memoria privata ma, se tanto è stato fatto – nel nostro caso come in molti altri abbiamo avuto il conforto della Giustizia dello Stato – alcune tessere del mosaico ancora mancano. Molti degli uomini e delle donne che hanno ucciso, che hanno aiutato ad organizzare, che hanno sostenuto, fiancheggiato e che sanno, sono ancora tra noi. Da mezzo secolo però si sono rifugiati nel silenzio, in un silenzio che è omertà», le parole toccanti di Mario Calabresi. «Continuo a pensare che il coraggio della verità sarebbe per loro un’occasione irripetibile e finale di riscatto. Il gesto che permetterebbe di chiudere definitivamente una stagione e a noi di ricordare non solo il poliziotto ma l’uomo che tornava a casa nel cuore della notte e si metteva a fare le crostate per la colazione della mattina dopo», ha concluso.

Un’immagine questa molto delicata, che richiama alla mente le parole della vedova di Calabresi, Gemma Capra, che lo scorso anno in occasione del 49esimo anniversario dell’omicidio del marito aveva detto: «Ogni 17 maggio alle nove e un quarto, io guardo l’ora e dico: ecco, adesso. Adesso esce di casa e lo uccidono». Nelle scorse ore la stessa ha dichiarato invece: «Io oggi sono serena, ho fatto un lungo percorso di perdono». Durante la cerimonia della deposizione delle corone in memoria di Calabresi, ai piedi del busto a lui, dedicato nel cortile della Questura, Gemma Capra ha detto: «Io amo questo posto dove Gigi ogni mattina veniva a lavorare. Usciva di casa con il sorriso con la gioia perché lui amava il suo lavoro, lo svolgeva con passione, quasi come una missione. Dopo le manifestazioni di piazza si dilungava a parlare con i giovani fermati per capire il perché di tanta rabbia e violenza. Qualche volta passavo a trovarlo e lui sempre mi faceva visitare la Questura, mi presentava i colleghi e tutte le persone che incontravamo. Era la sua seconda casa. Sono 50 anni che passo qui davanti, a volte in macchina, allora rallento, guardo, e saluto il busto. A volte a piedi e allora sbircio la vita che si respira qui, le persone che entrano ed escono perché io insieme a lui mi sento di appartenere a questo luogo». E non è stato questo l’unico evento.

A 50 anni dall’assassinio di Luigi Calabresi: dalle 18:30 dal teatro Gerolamo di Milano, Mario Calabresi sarà con la madre Gemma e i fratelli Luigi e Paolo ad un evento, a cui parteciperanno anche la ministra della Giustizia Marta Cartabia e il giornalista Paolo Mieli. Ci sarà pure Luca Zingaretti che eseguirà alcune letture accompagnato dalle musiche di Manù Bandettini.