Qualche settimana fa, quando l’Europa è stata investita dalle conseguenze dell’aggressione militare scatenata da Putin ai danni dell’Ucraina e in particolar modo, dall’ondata di profughi che cercavano di scappare da quell’ecatombe umana e morale, l’Italia ha dimostrato di essere in prima linea nel fornire aiuto, risorse e, soprattutto, accoglienza a queste persone. Ad oggi, sono circa 104mila gli ucraini sul nostro territorio e molti concittadini hanno aperto letteralmente la porta di casa propria ad anziani, donne e bambini in fuga, dimostrando una generosità che rimarrà nei nostri cuori per sempre. Di questo ce ne ha reso merito il Presidente Zelensky il giorno in cui si collegò con il Parlamento italiano e, sempre in quella occasione, ne ha parlato anche Mario Draghi assicurando una vicinanza emotiva e fattiva fra il popolo italiano e quello ucraino.
Il Governo da lui presieduto era andato oltre le parole, garantendo lo stanziamento di risorse finanziarie idonee a sostenere sia i profughi sia chi si stava facendo carico dell’accoglienza. Lo schema era quello di un contributo diretto alla persona ospitata e un bonus per le famiglie ospitanti.
Il 29 marzo la Protezione civile aveva emanato un’ordinanza con la quale esplicitava le modalità operative di questi sostegni e in particolare, il contributo di 300 euro (oltre 150 se tutore legale o affidatario di un minore) al mese per ogni avente diritto alla protezione internazionale, mentre già in quell’occasione, Fabrizio Curcio si mostrava assai perplesso sull’opportunità di garantire contributi diretti alle famiglie ospitanti.
Ebbene, secondo Valentina Laterza – Responsabile di Refugees Welcome Italia – ad oggi, nessun contributo è stato al momento erogato, né quello in favore dei singoli profughi né, tantomeno, quelli in favore delle famiglie. Non è ancora chiaro se il sistema del contributo “pro capite” di 300 euro sia effettivamente stato avviato e a che punto sia il monitoraggio a riguardo, mentre sul bonus famiglie, si è giunti alla certezza che esso non verrà erogato. Il motivo specifico tuttavia è sconosciuto almeno per adesso.
Di contro, le risorse stanziate dallo Stato sono state tutte destinate al sistema di accoglienza pubblico (prevalentemente Prefetture e CAS) dove però, al momento viene ospitata solo una percentuale minima dei profughi. Il grosso – circa il 90% – invece vive in famiglie italiane e ucraine, o presso strutture di associazioni di volontariato, al momento non destinatari di alcuna forma di aiuto economico.
Il sistema di accoglienza diffuso – così fondamentale nei primi giorni in cui lo Stato aveva bisogno di tempo per organizzare la propria rete – non può certo vivere in eterno di donazioni e contributi volontari – fa rilevare Laterza – e adesso servono queste risorse. Non fra sei mesi, ma ora! Laterza lamenta proprio che l’organizzazione del sistema di accoglienza si era dato un’organizzazione anche contando su quelle risorse (virtuali) che non sono poi diventate effettive. Che cosa rispondere a queste famiglie? Come procedere nel reperimento di altri nuclei familiari generosi che possano farsi carico dell’accoglienza e in ciò incoraggiate dal sistema pubblico – a parole –ma senza soldi?
A ciò aggiungasi che si tratta di un’accoglienza non semplice visto che i profughi spesso arrivano in Italia senza praticamente alcun bene di prima necessità a disposizione (se non quelli che sono riusciti a recuperare prima di scappare) e in condizioni materiali e psicologiche molto precarie, che richiedono un tipo di assistenza anche qualificata che la sola generosità delle persone non è sufficiente a garantire, soprattutto in assenza di risorse.
Di questo già ne parlava Giorgio Capitanio dell’ONG AVSI a fine marzo sottolineando proprio la necessità di un intervento pubblico a sostegno delle realtà impegnate in prima linea. Dopo un mese, evidentemente, la situazione è ben lontana da trovare soluzione.
Il governo Draghi è chiamato a dimostrare di non essere uguale a quelli che l’hanno preceduto e, quindi, a differenza di altri, a far seguire i fatti (e le risorse) alle parole. Confidiamo che lo faccia, e magari, anche presto.