È da poco disponibile in libreria, il bellissimo volume dal titolo «Psicourbanistica della città ideale» edito per i tipi di Rubettino Editore, scritto da Ivan Battista, psicologo e saggista, nonché docente a vario titolo che si interroga, e con lui anche noi, su quel bello inseguito e poi perduto che da sempre affascina i sognatori ed i progettisti della mitica, utopica quanto necessaria città ideale, attraverso l’indagine puntuale e scientifica di una branca accessoria di urbanistica ed architettura.
Un libro Psicourbanistica della città ideale (Editore Rubbettino, Collana Varia, pagg.104, € 12,35) questo di Ivan Battista, che si pone un obiettivo certamente ambizioso e che alza l’asticella di un impegno civile a tutto tondo nel campo delle neuroscienze ed in questo caso, poi, tradotto nel concreto con la saggistica: “Si tratta di dare – si legge nel risvolto di copertina – un contributo a interrompere le colate di cemento senza senso e dannose per la popolazione. Il testo intende gettare nuova luce su come da intendersi la progettazione urbanistica considerate altre branche del sapere quali la psicologia e le neuroscienze. L’obiettivo finale è il recupero della dignità abitativa, malevolmente trascurata da un intendimento costruttivo e progettuale-realizzativo che ha seguito e continua a seguire soltanto il principio economico speculativo del metro quadro e dell’ettaro da lottizzare”. Lo abbiamo intervistato, ponendogli alcune domande non solo sul suo ultimo affascinante ed interessante lavoro, quanto in generale sul ruolo dell’architettura dal passato ai giorni nostri e sulle responsabilità che committenti, progettisti ed esecutori hanno avuto ed hanno sulla formazione individuale e collettiva di quel senso estetico che può e deve fare la differenza tra cittadini di serie A o di serie B, in ultima analisi migliori o peggiori.
Lo scrittore Raffaele La Capria sostiene che il brutto condiziona l’animo umano. Che chi nasce nel cuore di un quartiere di un qualsiasi centro storico dove il gusto, l’architettura, la storia la fa da padrona non può diventare mafioso o delinquente. Lei è d’accordo?
«Tendenzialmente vorrei esserlo e vorrei condividerla questa affermazione, tuttavia con le dovute precauzioni. Diciamo che come formazione in genere chi è stato educato nel rispetto del bello inteso in senso platonico non solo dal punto di vista estetico o della giustezza e delle proporzioni, sia in senso architettonico sia in senso umano e di giustizia, generalmente, non dovrebbe poi risultare così captabile dalle forze del male, mafie o bande criminali organizzate. Tuttavia, penso che questa dello scrittore napoletano sia una affermazione molto coraggiosa perché sappiamo che spesso, anche in quartieri storicamente così belli, esistono persone che vivono e si arricchiscono con la criminalità consapevoli, anche per chi magari proveniva da fuori, che l’acquisto di appartamenti, ville o locali di pregio in un centro storico finisca poi per essere una sorta di conferma non solo di uno status sociale, come ascensore per esempio, quanto soprattutto affermazione di una identità umana».
A suo avviso quanto psicologia e neuroscienze possono essere utili oltre che nelle loro rispettive branche di appartenenza, alla formulazione di una progettualità nuova e moderna e dunque funzionale dell’urbanistica italiana, e non solo, del terzo millennio?
«Moltissimo. Le neuroscienze e la psicologia – e del resto non avrei scritto questo libro altrimenti – sono fra le più importanti branche del sapere accessorio dell’urbanistica e dell’architettura. Infatti ritengo e non solo io, ovviamente, che l’architetto come l’urbanista debbano essere figure professionali altamente formate dal punto di vista culturale e scientifico, capaci di saper spaziare nello scibile abbracciando molti campi del sapere. Certamente un ruolo che il sottoscritto stima molto, se appunto svolto con questo tipo di formazione e di capacità nel capire che in fin dei conti architettura ed urbanistica non sono soltanto calcolo, misura aurea o pura ricerca della proporzione giusta o del design e della progettualità, piuttosto di tutto quello che gira intorno che vuole entrare e che deve entrare nella progettualità. Le neuroscienze, ad esempio, ci fanno capire, che determinati colori piuttosto che altri, determinate proporzioni piuttosto che altre influiscono in maniera determinante sul nostro cervello, stimolandone la secrezione di alcuni ormoni celebrali. Anche la psicologia ci aiuta in questa ricerca, facendoci capire che ciò che si costruisce deve essere indirizzato alla dignità dell’essere umano nel concetto di abitare: un assunto che nei decenni passati per quella che è la mia idea ed esperienza professionale – e per quanto sto per dire me ne assumo tutte le responsabilità – non è stata molto rispettata. C’è stato, invece, un assalto feroce, oserei dire, alla lottizzazione dell’ettaro e del metro quadro che ha portato alla costruzione, sul suolo delle nostre belle città italiane, di quartieri che io nel libro descrivo come veri e propri crimini contro l’umanità!».
Perché a parte alcune correnti di pensiero in Architettura il bello funzionale al pratico ed al tecnico è stato bandito dal vocabolario del progettista?
«Preciso subito che io, non essendo né un architetto né tantomeno un ingegnere edile, non parlo da specialista. Ovviamente sono consapevole di tutta una generazione di professionisti del costruire che sono stati nel tempo influenzati ad esempio dal grande Le Corbusier, dal suo lavoro e perchenò aderendo anche alla sua scuola di pensiero che lo ha reso celebre in tutto il mondo proprio grazie alle sue teorie sulla funzionalità e vivibilità degli spazi abitativi. Fu lui a definire la casa una “macchina per abitare” e non solo le abitazioni egli estese lo stesso concetto di macchina concetto anche ai quartieri nel suo insieme. Certo va detto che nel tempo certa funzionalità spesso in contrapposizione con l’idea di bello forse negli ultimi tempi è stata fortemente ridimensionata. Poi è anche importante, e questo lo si può trovare nel libro, come gli ambienti influenzino in maniera determinante non solo la fase ideativa e progettuale quanto la nostra stessa psiche. Il concetto di abitare nel bello credo sia comune a chiunque che abbia non solo un minimo di senso estetico ma anche senso pratico, nessuno scambierebbe Portofino con una qualunque periferia degradata. E’ chiaro che il primo un po’ per fortuna un po’ per scelta politica conservandosi ha mantenuto uno spirito identitario, cosa che ovviamente nei quartieri periferici lo stesso spirito è bandito. Pensiamo alle garden city inglesi, al modello Garbatella che un po’ le riprende ed a tutta una serie di tipologie che nel concetto di abitare rimettono al centro l’uomo e la sua dignità. Certo, poi nel tempo s l’idea dell’ammasso e del contenimento abitativo di masse anche in funzione di controllo, non solo per sfruttare meglio lo spazio e questo sarebbe anche plausibile da un punto di vista tecnico, quanto per via di una scelta politico – repressiva voluta dal regime fascista».
Come si può a suo avviso inaugurare un nuovo rinascimento italiano del costruire senza essere schiavi del principio economico speculativo del metro quadro e dell’ettaro da lottizzare.
«Rispondere è difficilissimo, per via del fatto che il fattore committenza influisce molto su quasi tutte le scelte e gli orientamenti soprattutto in termini creativi: è da li che occorre partire per fare una analisi attenta ed onesta di tutto ciò che nel passato, nel presente e nel futuro non è andato per il verso giusto, non va ancora oggi e rischia di proseguire come andazzo per il futuro. Come fare allora: una soluzione potrebbe essere, a mio avviso, ad esempio che l’architetto o l’ingegnere progettista diventi il capo della società di investimento non solo per sganciarsi da una committenza che sovrastando spinge per una speculazione tout court, quanto per avere quella autonomia necessaria che, oltre a salvaguardare l’aspetto estetico e funzionale, non sia necessariamente schiava del profitto ad ogni costo ed a discapito di tutto. In conclusione penso che un nuovo rinascimento dell’architettura italiana possa esplodere solo grazie ad un espandersi della cultura dell’abitare così tanto pesante e presente da riuscire ad influenzare anche il circuito costituito dalla potenza fianziaria-lottizante-politica».
Lei pensa che, in senso figurato e come provocazione ovviamente, ci vorrebbe una Norimberga degli architetti ed ingegneri italiani? Insomma un dibattito serio su sbagli, guasti, brutture ed inutilità perpetrate dal primo dopoguerra ad oggi?
«Non sarei così drastico caricando in ultima analisi di così enormi responsabilità ingegneri ed architetti che io vedo piuttosto come, ovviamente, nella maggioranza dei casi salvo eccezioni, come degli esecutori che devono sottostare ad una committenza sia essa pubblica o privata, per non parlare poi di leggi e laccioli che finiscono per imbrigliare tutto, soprattutto nelle capacità creative. Poi, come in tutte le professioni, ci sono architetti ed ingegneri geniali, bravi, mediocri, infine pessimi. Tuttavia, ripeto, io penso che il fatto culturale quando si parla di architettura e di urbanistica debba ritornare al centro dei dibattiti intorno all’arte del costruire poiché va sempre tenuto ben saldo e presente il concetto che l’essere umano non è ne un ape ne una termite. L’urbanistica, poi, ultimamente è considerata un po’ come la figlia di un Dio minore, rispetto all’architettura, prova ne è il fatto che in alcune zone di Italia si da maggior spazio ed importanza prima all’architetto e successivamente a tutto il resto, al realizzare, al costruire al progettare e riprogettare in senso urbanistico intendo. Ecco, a mio avviso tutto questo è un errore. Certo, se mi si chiede quale ricetta o soluzione abbia in tasca rispondo citando l’intervista rilasciata dalla sindaca di Parigi che, a chi le chiedeva come avesse fatto per risolvere i problemi urbanistici, anche imparando dagli errori del passato, abitativi, progettuali in termini di sfida per il nuovo millennio e per una capitale così importante semplicemente e candidamente così rispondeva riferendosi al rapporto con committenze, progettisti e richiedenti permessi per costruire: “tu prima mi realizzi tutte le opere infrastrutturali ed i servizi necessari per una vivibilità sostenibile e dignitosa ed io poi ti do il permesso di costruire”. Ma queste sono anche scelte politiche».
Ivan Battista, classe 1953, coniugato, con due figli, psicologo, psicoterapeuta dal 1995. È laureato in Scienze politiche e delle relazioni internazionali. Scrittore saggista, formatore, già docente esperto di psicologia clinica presso la S.M.O. (Scuola medica ospedaliera Ospedale Santo Spirito Roma). Ha collaborato, come assistente cultore della materia, alla cattedra di Teorie della personalità e delle differenze individuali (Università La Sapienza, Roma) del Professor Aldo Carotenuto. Ha pubblicato numerosi libri tra i quali: Orfani di genitori viventi, Assalto all’amore, contro le banalità del più antico e nobile dei sentimenti, Depressione, tutti i colori del buio, Psicologia della chirurgia estetica, Psicoarchitettura. Per Gremese Editore, nell’ambito della collana La Biblioteca Gremese Larousse ha collaborato alla stesura del Dizionario di Psicologia. Per i tipi della Nuova Ipsa, Palermo, ha collaborato alla stesura del Grande Dizionario Enciclopedico di Omeopatia e Bioterapia, curando l’intera voce Psicosomatica. Pubblica articoli con il Web magazine Animamediatica. Collabora con interviste con la radiotelevisione svizzera italiana e con il settimanale svizzero italiano “Il caffè”. Vive e lavora a Roma.