Ancora una volta e più che in passato, l’Occidente ha deciso di colpire il regime russo con pesanti sanzioni. Rublo e Borsa in caduta libera, code ai bancomat, la banca centrale russa che raddoppia i tassi di interesse. Il mondo del business post-sovietico colpito al cuore, anzi nel portafoglio, con perdite pari a decine di miliardi di dollari.
Così qualcuno nell’establishment economico moscovita ha iniziato a farsi due domande. Per il capo di banca Alfa, Friedman, la guerra in Ucraina è una “tragedia inutile”. Il boss delle materie prime Deripaska ha chiesto “negoziati immediati”. Il patron del Chelsea, Abramovich, ha mollato la società sportiva annunciando di voler donare i proventi in beneficenza. Gli oligarchi tremano, ma non sono gli unici a muoversi nella scacchiera del potere russo.
Putin viene descritto come un uomo solo al comando ma ha sempre governato trovando un equilibrio tra forze diverse. Gli oligarchi, certo, emersi con prepotenza accumulando enormi ricchezze dopo le ‘privatizzazioni’ seguite al crollo della economia sovietica, e che possono finanziare da dentro e fuori il Paese l’opposizione al regime. “L’Ucraina sarà un suicidio per Putin,” ha detto Mikhail Khodorkovsky.
Ma altri klan si muovono intorno al capo del regime. Dopo il ripiegamento dei “civiliki“, esponenti delle istituzioni desiderosi di riformare un sistema politico corrotto e incapace di diversificare l’economia, chi ha preso la palla al balzo sembrano essere i “siloviki“, le strutture della forza, il potere repressivo collegato al complesso militare e industriale. Da qui viene fuori lo stesso Putin, ex agente del KGB.
Da questi ambienti arriva anche la propaganda sulla “operazione di peacekeeeping” per “liberare la Ucraina”. Un potere profondo, inserito nei gangli dello Stato russo, che per Putin può rappresentare un contrappeso alla potere degli oligarchi.