di Francesco Rubera
Oggi si accusa la politica di trasformismo, spesso però non si comprende il confine tra il trasformismo opportunistico, inteso come mero opportunismo di potere e il libero pensiero, ossia la libertà di mutare opinione dopo una seria riflessione.
Il primo è un fenomeno consociativo, mentre il secondo è un fenomeno nobile di grande espressione di libertà e tolleranza che spinge l’individuo persino al pentimento, cambiando opinione su pensiero politico e fatti storici.
Il trasformismo, invece è quel fenomeno per cui una forza politica o un singolo individuo cambiano idea da un giorno all’altro, per calcolo di mera convenienza. La politica italiana è particolarmente avvezza a questo fenomeno. La stessa Costituzione repubblicana lo autorizza all’art. 67 a proposito dell’inesistenza del vincolo di mandato. Non stiamo a discutere se la norma costituzionale sia giusta o sbagliata, è certo che se tutti fossimo persone di buona fede, sarebbe la massima espressione di fiducia e garanzia di libertà, tuttavia è sufficiente capire che oggi, scarseggiando l’onestà intellettuale, basta che un piccolo gruppo di eletti cambi partito per influenzare in modo decisivo, le decisioni del consesso politico, spostando la volontà popolare manifestata con il consenso verso un programma. Si precisa che il trasformismo esiste in tutti i sistemi politici in modo più o meno marcato, ma la capacità di cambiare idea può essere positiva e allora si parla di trasformazione, evoluzione, cambiamento o negativa e in tal caso è trasformismo.
Si tratta di un esempio di maturità politica? È certo che chiunque abbia il coraggio di cambiare le proprie idee non sempre è un trasformista, potrebbe essere un riformista/progressista. Nella storia italiana moderna vi sono stati parecchi esempi di personaggi storici e politici “mutati” che poi la storia ha giudicato come trasformisti o progressisti. Addirittura si è assistito a ribaltoni (scilipotici), spesso oggettivamente importanti, tanto quanto ridicoli, altre volte altrettanto importanti, quanto ammirevoli e nobili, poiché fatti per il bene comune. Camillo Cavour quando l’Italia non esisteva, unificò il paese, va ricordato a ragione come il padre dell’unità e della patria, ma arrivò al potere attraverso un atto di mutamento politico.
Nel 1852 Cavour faceva parte del governo di centrodestra, presieduto da Massimo D’Azeglio, come ministro dell’Economia, ma non era soddisfatto del ruolo. Trovò alleanze nel centrosinistra per destabilizzare il governo, facendo leva sull’opinione pubblica liberale che temeva il rischio delle libertà civili e di stampa.
Il governo D’Azeglio, grazie a questa operazione di Cavour cadde nell’aprile 1852; il successivo esecutivo durò sei mesi. Nel novembre dello stesso anno Cavour diventò capo del governo, posizione che ebbe a ricoprire fino alla morte, nel 1861. Lo fece per mere ambizioni o interessi personali, per salvare l’economia del settentrione o per portare avanti l’idea di una Italia unita? È la storia che lo ha giudicato. Benito Mussolini nel 1914 era uno degli esponenti di spicco del Partito Socialista, area massimalista, il partito era contrario all’entrata in guerra dell’Italia. Appena scoppiata la prima guerra mondiale, l’Italia doveva ancora decidere con chi schierarsi.
Mussolini considerava l’impresa coloniale italiana un atto di brigantaggio. Il 18 ottobre 1914, Mussolini pubblicò sul “Avanti!” un articolo in cui si schierava chiaramente a favore della guerra. Venne espulso dal partito, quindi reagì fondando il suo giornale, “Il popolo d’Italia”. Probabilmente, per questa operazione Mussolini ricevette fondi dai servizi segreti francesi, è una tesi molto accreditata, ma a quei tempi era normale, poiché tutti gli stati europei colonialisti, avidi e spinti da un perverso movimento ideologico imperialista fondato su una idea di globalizzazione basata sull’ imperialismo predatore e straccione, cercavano di assicurarsi sostegno e consenso internazionale. Di lì a poco Mussolini divenne il capo del governo italiano.
La storia ci dirà se Mussolini è stato un trasformista o riformista. Gli esempi potrebbero essere tanti: dai mutamenti della vecchia democrazia cristiana, al correntismo dentro i partiti, sino ai giorni nostri, i deputati del 5stelle che hanno lasciato il movimento 5 stelle per migrare altrove; il renzismo che esce dal PD e che fa opposizione dentro la maggioranza.; la lega che governa con il M5S e che autosfiducia il primo governo Conte per andare all’opposizione (avendo Salvini calcolato male le sue coordinate); l’ ultima apertura del governo di centrosinistra a Berlusconi.
Insomma, in questa epoca post – ideologica di confusione non si capiscono le operazioni camaleontiche da quelle riformiste. Tra chi è trasformista e chi si evolve o si eleva a progressista, superando se stesso, sicuramente in alcuni casi è difficile capire, in altri molto meno. Sarà la storia a giudicare, “ai posteri l’ardua sentenza”. La certezza è che questo momento storico post-ideologico ci ha confuso un po’ tutti, ma ciò che pagherà bene nel giudizio storico è e sarà sempre la coerenza.