Tra irrilevanza e protagonismo: i liberali devono fare una scelta

L’evaporazione del Terzo Polo ci dimostra ancora una volta che da una lista elettorale non può nascere nessun partito unico, men che meno uno nuovo. La lista di scopo “Stati Uniti d’Europa” per le stesse ragioni non potrà mai portare a una unica formazione politica; tutt’al più potrà rappresentare per il futuro (breve) un polo federato, sapendo, come insegna il Terzo Polo, che tali forme organizzative sono destinate all’inevitabile sfaldamento.

Contestualmente, Azione non ha futuro se permane la logica isolazionista, perdendo per strada un po’ di pezzi e raccattando un po’ di “scappati di casa” o cercando di tenere insieme più o meno nobili tradizioni sulla base di un dettato costituzionale che ormai rappresenta una società che non esiste più, rischiando di essere sempre più una sorta di vecchio pentapartito concentrato in uno.

Le prossime elezioni europee e amministrative ci consegneranno ancora una volta un Paese spaccato a metà tra chi va a votare e chi no. Chi va a votare fa riferimento e si divide in base alle correnti di destra, sinistra e centro del partito unico populista sovranista illiberale che ormai sintetizza il nostro sistema politico, per la difesa dei propri interessi corporativi, e quindi è un pezzo di società conservatrice dello status quo, rifiutando la più piccola idea di cambiamento. Chi non va a votare è in attesa di una proposta politica alternativa che progetti un nuovo sistema politico.

Ormai sono anni che è evidente che la frattura destra-sinistra è surreale e che, per dare un senso a questa insulsa spaccatura, è d’obbligo il ricorso a un retaggio ideologico preistorico. Nonostante la palese realtà, come una sorta di maledizione, non si riesce a uscire da questo schema insulso e le forze liberaldemocratiche, che dovrebbero attrezzarsi per rappresentare l’alternativa al bipopulismo, in preda a una sindrome minoritaria, preferiscono rinchiudersi nella vecchia ma rassicurante logica “centrista”, equidistante da una parte e dall’altra, che sicuramente non attirerà consensi dalla società astensionista ma garantirà la salvaguardia di una classe dirigente sempre più autoreferenziale.

In più, permane un cordone ombelicale con un PD che piace immaginare come nave alla deriva nel tempestoso mare del grillismo a cui va gettata l’ancora di salvezza senza la ben che minima riflessione su ciò che è stata “l’involuzione” della sinistra dallo scioglimento del PCI in poi. Diciamolo: è una visione idilliaca e fantasiosa per evitare un “suicidio” politico, visto che tanti di Italia Viva e Azione provengono da lì, e +Europa è diventata sempre più parte organica di questo PD.

Tutto questo non solo sancisce l’irrilevanza e la sudditanza delle “forze” liberaldemocratiche, ma rischia di accentuare la frattura con quel pezzo di società che non va a votare, che però permette all’Italia di essere competitiva nel mercato globale e garantire all’Italia corporativa e conservatrice la sussistenza.

Abbiamo presto dimenticato che il Terzo Polo, così come si era proposto in campagna elettorale, era riuscito ad attrarre un minimo di questo elettorato proprio perché aveva trasmesso l’idea, poi risultata ingannevole, di un nuovo inizio e rappresentare la sospirata alternativa di sistema. Ora, al di là del fatto che questa alternativa di sistema non può che rifarsi al Liberalismo, conseguentemente allo scontro di civiltà in atto tra esso e tutto ciò che è illiberale, c’è una palese miopia politica visto l’evoluzione di questo scontro di civiltà.

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Non è solo l’apertura di due fronti: quello ucraino con l’invasione russa e quello in Israele con l’aggressione del 7 ottobre e il pacifismo putiniano a cui il bipopulismo sovranista ci aveva, in questi due anni, deliziato. Dopo la legittima reazione di Israele si è scatenato un movimento nell’Occidente democratico e liberale di antisemitismo e antisionismo a cui si va intrecciando la retorica dell’antifascismo e dell’anticapitalismo della sinistra e non solo. Senza contare la retorica raccapricciante sul futuro stato palestinese di un popolo che non esiste in quanto pura invenzione araba, che altro non è che un agglomerato di emigrati egiziani, giordani e siriani, per scopi elettoralistici, per non inimicarsi le popolazioni musulmane che comunque votano.

La posizione assunta da Spagna, Irlanda e Norvegia verso lo stato palestinese è la dimostrazione plastica della sottomissione all’Islam, come del resto significa la parola stessa, per fini elettorali. Non siamo più all’attacco dall’esterno dei valori dell’Occidente da parte dei totalitarismi, autocrazie, fondamentalismo islamico ecc., ma siamo sempre più in presenza di una reazione interna all’Occidente stesso che va ben oltre il populismo sovranismo illiberale anti europeo e atlantico. Rispetto a questo non serve chiedersi cosa stia facendo l’Italia, occorre invece chiedersi cosa fanno e cosa vogliono fare i liberali.

Vogliono continuare a essere spettatori e complici di questo degrado politico o si fanno promotori di una seria proposta politica liberaldemocratica realmente alternativa (non equidistante) al fango bipopulista? La prima è ciò che sono adesso. La seconda comporta un’assunzione di responsabilità e di coerenza verso i valori espressi dal Liberalismo e dare il via a una vera fase costituente del nuovo partito liberaldemocratico, chiamando a raccolta non le sigle esistenti, ma la società aperta, quella che oggi è in attesa di un serio riferimento politico.

Sicuramente è un percorso difficile e faticoso, ai liberali la scelta tra l’irrilevanza e il protagonismo.