Ha ragione Flavia Pierina quando, sulle pagine della Stampa, scrive di una persistente sensazione di déjà-vu. Vittorio Sgarbi, indagato per un impiccio di quadri forse rubati, che resta al suo posto di sottosegretario. Daniela Santanché, trafitta dal fallimento del gruppo che gestiva, e pure lei resiste. Il team di faccendieri in galera per storie di appalti Anas senza che nessuno batta ciglio, neppure il vicepremier Denis Verdini quasi-genero di uno di loro. Nel frattempo è arrivato il primo sì all’abolizione dell’abuso d’ufficio tra gli applausi del centrodestra. Manca solo Silvio Berlusconi, al quale la cancellazione del reato fu espressamente dedicata dal Cdm che la varò in giugno: tutto il resto è «come prima». Gli stessi nomi.
La distanza tra l’imprinting culturale rivendicato dalla destra d’ordine, rappresentata da Giorgia Meloni, e i comportamenti espressi dal suo partito nelle vicende affaristiche evidenzia una commistione tra ruoli politici e interessi privati. Sebbene non possa essere definita una “questione morale” in senso tecnico, è sicuramente un problema politico che richiede attenzione e riflessione. Questo fenomeno riconduce alla selezione delle classi dirigenti e alla scarsa sensibilità di una parte della maggioranza per i ruoli e le attività al di fuori del Palazzo.
Nella sua ultima conferenza stampa, la premier ha risposto alle accuse puntando il dito contro la sinistra e il Movimento Cinque Stelle, evidenziando un supposto doppio registro nell’affrontare le inchieste. Tuttavia, la domanda che sorge spontanea è: quali sono le nuove regole? Al momento, la prassi sembra riflettere il déjà-vu dell’età berlusconiana, aspettando che la giustizia faccia il suo corso e nel frattempo cercando di modificare il codice penale.
Leggi anche: Il pericolo dell’emotività: quando la politica diventa inconsistente
Il continuismo del nuovo centrodestra rispetto al vecchio su conflitti di interesse e reati amministrativi solleva interrogativi. Potrebbe essere legato alla necessità di preservare il potere da scandali, ma potrebbe anche riflettere ragionamenti più ampi. Giorgia Meloni ha ereditato un vasto bacino elettorale e relazioni con le classi dirigenti della vecchia era berlusconiana, caratterizzate da una tolleranza verso gli incroci tra politica e affari. Una marcia indietro risulterebbe difficile, data la lunga storia di quel rapporto.
Le proposte di abolire l’abuso d’ufficio, rivedere la legge Severino e modificare il traffico di influenze riflettono un approccio che sembra ancorato a una visione consolidata nel tempo. Mentre si aspetta l’esito delle inchieste, ci si chiede se davvero qualcosa è cambiato o se, nonostante le apparenze di una premier “pura e dura”, la destra italiana continua a seguire un copione ben noto. Un déjà-vu che evidenzia come in fondo sia tutto come prima, anche se molto, in teoria, sarebbe dovuto cambiare.