Terzo polo: azzerare per ripartire

Il populismo sovranismo di destra e sinistra, ieri e oggi, al governo o all’opposizione sostituisce la politica con la propaganda e la demagogia. Contestualmente i cittadini rifiutano la partecipazione e alle elezioni vanno metà degli aventi diritto quando va bene.

Siamo al tramonto della democrazia?

Nelle nostre democrazie il tema della vita politica è reso evidente votazione dopo votazione: se va a votare la metà degli aventi diritto ciò non mette in dubbio la legittimità degli eletti, ma la loro solidità.
Prendere il 50% dei voti quando vota il 50% degli elettori significa avere il consenso del 25% dei cittadini. Risultato legittimo, ma assai poco solido e che il prossimo demagogo ribalterà.

Le elezioni amministrative hanno conferito alla destra populista sovranista quasi un “cappotto”.
La sinistra populista sovranista nella sua spocchiosa presunta superiorità morale è ferma al richiamo della foresta per mettere in campo la santa alleanza contro il nemico e nulla conta se ancora una volta si è certificato il fallimento dell’opposizione ideologica.

Il linguaggio arcaico della politica ripropone parole come riformismo, moderatismo, progressismo ma sostanzialmente inutili, in quanto fortemente inflazionate, nel definire un modello di società.
Una, nessuna, centomila direbbe Pirandello. Riformismo o massimalismo, questo sembra essere ancora il dilemma shakespeariano della sinistra ma basta poco per rendersi conto che statalismo, burocrazia, assistenzialismo, giustizialismo sono tratti culturali comuni a ciò che continuiamo a chiamare destra e sinistra.

Questo schema da luce riflessa degli anni settanta non fa vedere quello che è ed è sempre stato il PD: ultimo tassello, in termini cronologici, di quel connubio cattocomunista in chiave antisocialista iniziato dopo la caduta del muro di Berlino.

Non c’è mai stata nessuna fantomatica “grillizzazione” del PD in quanto Il populismo grillino trova il principale fattore generativo nella cultura politica della sinistra comunista prima e post comunista dopo.
L’immagine del decadimento del PD nel populismo più d’accatto è fuorviante. Il PD semmai vive, come tutta la sinistra mondiale, la sostanziale incapacità ormai irreversibile di elaborare una strategia credibile nel contesto globale. Il massimo è un terzo mondismo che lascia intravedere il vecchio e ritrito anti capitalismo dimenticando che dove si muore di fame e di sete è perché mancano tre elementi interconnessi: democrazia, libertà, economia di mercato.

Da qui slogan, ideologismo, approccio demagogico è tutto ciò che riesce a mettere in campo probabilmente l’unico e vero “partito unico” attuale. Tutto il contrario di ciò che serve al nostro Paese.
Quindi ancora una volta la realtà delle cose ci impone una domanda semplice quanto complessa: l’alternativa dove è? Ma soprattutto cosa è?

Il progetto del terzo polo è miseramente fallito e non per le fesserie sulle diversità caratteriali dei due leader ma per il tipo di processo che si è scelto e per la forma partito che il soggetto unico doveva attuare.

In estrema sintesi i requisiti dovevano essere ben altri da quelli messi in campo.

  • Scioglimento dei partiti promotori prima di dare corso al processo.
  • Passo indietro di entrambi i leader e spazio a volti nuovi.
  • Comitato costituente formato da personalità per lo più esterni ad Azione e Italia Viva.
  • Ampio coinvolgimento oltre i recinti dei due partiti.
  • Liberazione da ogni residuo di “complesso di sinistra” e “sindrome da ex PD.
  • L’idea di un partito a cui ci si iscrive e si milita in base all’idea di società che propone e non perché c’è tizio o caio.

La vicenda ha la sua drammaticità nel fatto che ha reso evidente la totale indisponibilità di Renzi e quindi per riflesso di Italia Viva a confluire, ne ieri ne domani, in un soggetto unitario.il ragionamento, con motivazioni certamente diverse, vale anche per +Europa. È qualcosa che va ben oltre il fatto che il nascente partito unico era più il frutto di accordi tra comitati chiusi e con un identità sfumata con i leader che alla fine si sono ritrovati vittime di loro stessi. Sicuramente tutto ciò ha conseguenze negative per le future elezioni europee in quanto la vicenda ha messo in luce quello che in realtà sapevamo già: dai partiti nascono liste elettorali ma da queste non nascano i partiti.

Ora bisogna vedere se ci saranno elettori disposti a votare un accrocco di gente che si odia senza un leader riconosciuto perché alla fine tutto si ridurrà ad una lista elettorale. Azione deve prendere atto, per essere coerente al suo stesso atto fondativo, che bisogna avere il coraggio di ripartire, non può continuare a guardarsi l’ombelico.

Il punto è che non basta più il partito nuovo, con il coinvolgimento di personalità, intellettuali e, più in generale, di ampia parte della società civile oltre i recinti dei partiti oggi esistenti. Non basta più definirsi equidistanti da destra e sinistra e costituire non il terzo polo ma il polo alternativo al bipopulismo.

Occorre comprendere che il paese ha bisogno di un nuovo patto fondativo e mettere mano, questa volta per davvero, alla seconda Repubblica ripensando la Costituzione e non solo nella seconda parte.
A guidare il processo rifondativo non possono essere gli eredi della prima Repubblica. La seconda Repubblica non può che nascere da una ispirazione liberale.

Se ciò è vero l’obbiettivo di costruire un partito liberaldemocratico diventa ancora più stringente a cui, con il coraggio di contare, non possiamo sottrarci come Destra liberale e innovativa.
L’associazione Buona Destra, attraverso il suo Centro Studi, può e deve trovare proprio sulle riforme istituzionali il primo campo di intervento dentro Azione.