In un mondo che corre sempre più veloce, senza curarsi troppo del proprio passato e dando anzi spesso l’impressione di volersene liberare, quasi che rappresenti un fardello troppo gravoso da portare (basti pensare alla sconsiderata furia iconoclasta, degna di realtà come il Medio Oriente ma non certo delle compiute democrazie occidentali, di cui proprio in questi giorni sono vittime figure autorevoli quali Cristoforo Colombo, Churchill e Montanelli), è lecito chiedersi se la rievocazione di eventi che hanno segnato la nostra storia recente possa ancora suscitare interesse e attenzione.
Il 12 Giugno del 1987 sul lato Ovest della Porta di Brandeburgo si teneva una grande manifestazione pubblica per celebrare i 750 anni della città di Berlino. Erano presenti tutti i principali Leader occidentali ed era tangibile la tensione di tutto ciò che incombeva silenziosamente dal lato Est di quella Porta e del mondo, ancora sotto il giogo sovietico. Ronald Reagan decise di prendere il toro per le corna e, invece di fare un discorso di circostanza, pronunciò delle frasi destinate all’immortalità, come quelle che Kennedy dedicò ai berlinesi qualche decennio prima nella stessa cornice.
Rivolgendosi direttamente a Michail Gorbačëv, Reagan fece un accorato e deciso appello per aprire una nuova fase di pacificazione tra i due blocchi, la cui concretizzazione sarebbe stata palese con l’abbattimento del Muro di Berlino, che stava esattamente alle sue spalle mentre pronunciava quelle parole. La parte centrale del suo discorso « Segretario generale Gorbačëv, se cerca la pace, se cerca la prosperità per l’Unione Sovietica e per l’Europa orientale, se cerca liberalizzazione, venga qui a questa porta. Signor Gorbačëv apra questa porta. Signor Gorbačëv, Signor Gorbačëv, abbatta questo muro!» rappresenta un vero e proprio testamento politico, non solo di Ronald Reagan ma più in generale di una linea di pensiero che fu capace di cambiare radicalmente il corso della storia mondiale, ben oltre i pur ampi confini degli Stati Uniti d’America.
La domanda che viene naturale farsi oggi è: in questo mondo così apparentemente cambiato, forse non in meglio, c’è ancora spazio per riproporre, attualizzandole, le linee guida con cui figure come Reagan, Thatcher e un Papa illuminato quale fu Giovanni Paolo II seppero incidere in maniera determinante sugli equilibri internazionali?
Ha senso ricordare a tutti noi che la Destra capace di restare positivamente scolpita nella memoria collettiva finora è quella moderata, liberale, conservatrice e rivoluzionaria che stravolse il sistema produttivo britannico e americano imprimendo una svolta in senso liberista alla propria economia, all’insegna del libero mercato? Ha senso, ancora, ribadire che quella Destra era protagonista non della costruzione di nuovi muri e steccati di vario genere, ma semmai dell’abbattimento di quelli esistenti? Ha senso infine ricordare che il discorso di commiato dalla Casa Bianca di Reagan, il più grande Presidente Repubblicano della storia, fu dedicato al fatto che l’America fosse un Paese così ricco, sviluppato e in continua evoluzione perché nei secoli aveva fatto dell’accoglienza agli immigrati di tutto il mondo un decisivo punto di forza senza il quale non sarebbe mai stato possibile diventare la prima potenza globale?
Io sono convinto non solo che sia lecito e giusto, ma che sia soprattutto doveroso per chi vuole ancora oggi definirsi di Destra rivendicare sempre con orgoglio le profonde radici rappresentate da tali nobili ideali. In questo modo sarà sempre più facile marcare le differenze rispetto a chi vuole appropriarsi ai vari livelli di figure e ideologie che meritano maggior rispetto, se non altro per il cambiamento che sono state capaci di imprimere alle vicende storiche mondiali.
Uno dei rischi derivanti dal non prendere decisamente posizione in tal senso, purtroppo ben visibile davanti ai nostri occhi, è per esempio rappresentato dal fatto che il preoccupante rigurgito iconoclasta di questi ultimi tempi venga cavalcato anche da molti che si proclamano di Destra giocando abilmente sull’incultura, altrui e propria.