Il bivio della terza Repubblica, in cerca di una nuova stagione di libertà

L’estate è ormai alle porte e con il suo arrivo il Paese pare aver superato la fase più critica dell’emergenza sanitaria dovuta al Covid 19. Restano invece ancora aperte le questioni relative ai devastanti effetti di questi ultimi mesi sulla nostra già claudicante economia, di fronte alle quali la classe dirigente italiana ed europea non può permettersi alcuna distrazione né tantomeno di rinviare provvedimenti efficaci e immediati per evitare un collasso del sistema produttivo.

Il Presidente del Consiglio ha certamente dimostrato in tutti questi mesi una dote indiscutibile, quella di sapersi ritagliare un esclusivo spazio di enorme visibilità mediatica come ben pochi suoi predecessori erano riusciti a fare. A partire dalla defenestrazione dell’ingombrante figura di Salvini, Conte ha rafforzato il proprio profilo politico giorno per giorno, accelerando questa strategia dallo scoppio della pandemia e giocando sopratutto due carte: il pretesto dell’emergenza che ne giustificava e ne giustifica tuttora la continua sovraesposizione senza alcun contradditorio nei suoi frequenti  discorsi a reti unificate, oltre alla certezza di guidare una coalizione di governo in cui nessuno, a cominciare dal PD, ha attualmente in tasca una figura alternativa da contrapporgli e quindi viene lasciato campo libero a colui che con ogni probabilità sarà il Leader del Centrosinistra anche per i prossimi anni.

La convocazione degli Stati Generali a Villa Pamphili va esattamente in questa direzione e continua il percorso del consolidamento istituzionale e politico di Conte. Liquidare tale iniziativa ad una semplice passerella è riduttivo perché significherebbe sottovalutare quanto sta avvenendo da tempo nei corridoi romani: se giornalisti come Scalfari e Giannini arrivano oggi a tracciare irriguardosi parallelismi tra l’attuale Premier e due figure come Cavour e Moro, è evidente che tutto quel mondo sta costruendo le fondamenta per un’alleanza organica tra la Sinistra e quanto resta del M5S. È bene a tal proposito ribadire e sottolineare che il M5S è il luogo di provenienza sia di Conte sia dei principali gruppi parlamentari che lo sostengono, anche se con la stessa abilità di cui sopra “l’avvocato del popolo” cerca di smarcarsi da tale imbarazzante etichetta, che mal si abbina alla sua nuova veste di degno erede di Monti. L’imbarazzo aumenta anche alla luce delle ultime indiscrezioni sui cospicui finanziamenti alla macchina organizzativa Grillina da parte di un esemplare statista quale il venezuelano Maduro.

Il bivio non riguarda dunque le prospettive future di chi condivide lo schema rappresentato dall’attuale compagine governativa e incarnato dalla Leadership di Conte, ma semmai il resto del panorama politico italiano. Sì, perché è evidente che una considerevole fetta di elettorato non si riconosce in tale quadro e resta in attesa di un’alternativa credibile all’asse che oggi ha in mano le chiavi di Palazzo Chigi. Salvini ha dimostrato nei fatti di non poter rappresentare una vera guida né per una coalizione né tantomeno per un esecutivo: la rapida e inesorabile discesa nella curva degli indicatori del consenso – suo pane quotidiano da diversi anni – certifica come quella breve stagione stia già volgendo al termine. Il ritorno della Lega a percentuali più modeste è un fatto positivo per il Centrodestra oltre che per la stessa classe dirigente del Carroccio, ben conscia di non poter gestire un grande partito di massa su scala nazionale.

Di cosa avrebbe quindi bisogno oggi quella parte di Paese che dalla politica si aspetta non urla o passerelle ma soluzioni concrete ai numerosi problemi di lavoratori, aziende e cittadini? C’è ancora spazio per un’opzione di Destra moderata che possa ridare speranza alla maggioranza degli italiani?

Cito un esempio significativo, con riferimento a una realtà che conosco bene per motivi familiari e affettivi: Genova. Esattamente tre anni fa, contro tutti i pronostici e in totale controtendenza rispetto alla storia di una città da sempre profondamente di Sinistra, un brillante manager conosciuto e stimato a livello internazionale scardinò un sistema consolidato e, alla guida di una coalizione di Centrodestra, guadagnò prima il ballottaggio e poi le chiavi di palazzo Doria-Tursi. Oggi Marco Bucci è il Sindaco con il più alto indice di popolarità in Italia, anche grazie all’incredibile efficienza con cui è riuscito in tempi record a far rimettere in piedi il ricostruito ponte Morandi. Ben pochi sotto la Lanterna si chiedono ormai se sia stato sponsorizzato da Tizio o se avesse dietro Caio quando fu scelto come candidato, perché Bucci sta dimostrando nei fatti di essere un ottimo amministratore in un terreno non facile da percorrere e in condizioni critiche, capace di ridare a Genova l’antico respiro, quello di una metropoli di levatura internazionale.

Nel 1993, per fare un salto indietro nel tempo, i meno giovani ricorderanno come Achille Occhetto, alla guida di una “gloriosa macchina da guerra” che aveva preso forma con la svolta della Bolognina, era pronto a sedersi sulla poltrona di Presidente del Consiglio, grazie all’ecatombe di Mani Pulite abbattutasi sul pentapartito. Berlusconi, intuendo il pericolo che il Paese stava correndo, in pochi mesi sciolse le riserve e demolì le ambizioni di governo dei post-comunisti, fondando Forza Italia e diventando immediatamente Premier. Sulla storia di quegli anni e sui numerosi errori politici commessi dal Cavaliere a suo stesso danno ci sarebbe molto da discutere, ma è indubbio che la discesa in campo di cui fu protagonista ebbe un effetto rivoluzionario sulla politica italiana, cambiando il corso della storia nella seconda Repubblica.

La situazione attuale è per certi aspetti diversa, ma forse ancor più critica: un esecutivo di Sinistra in cui la demagogia, il populismo e il pauperismo dei 5Stelle sono ben radicati è già presente e malgoverna le sorti dell’Italia. L’orizzonte temporale è ancora abbastanza ampio ma, da qua alla nomina del prossimo Presidente della Repubblica, sarà indispensabile individuare una luce che possa illuminare il percorso opposto rispetto a quello di Conte, Di Maio, Bonafede, Zingaretti e compagnia. Al contrario mettere insieme tutti quei personaggi credibili, da Bucci a Calenda passando per Brugnaro, Musumeci e Zaia, che hanno dato trasversale dimostrazione di serietà e capacità concrete in tante fasi difficili per il nostro Paese è possibile e auspicabile: come nel 1994, una nuova Leadership illuminata, con salde radici ideali all’insegna del liberalismo e del liberismo in materia economica, potrà davvero rimettere in piedi l’Italia e mandare a gambe levate la “gloriosa macchina da guerra” di Conte.