Seconda riflessione sulla crisi e sulla nascita del Governo di Mario Draghi

di Nicola Bono

Si continuano ad inseguire commenti sul Governo Draghi, che oscillano dalla fede più assoluta, alla critica più feroce, senza percepire ciò che è realmente accaduto, tenendo anche conto del contesto in cui si sta operando. Il tutto reso ancora più complicato dalla nostalgia per la scomparsa dalla scena politica di Conte. La giubilazione di Conte è stata determinata per varie ragioni di inadeguatezza nella gestione del governo, ma soprattutto per due errori fondamentali che ha commesso: il primo quello di essersi intestardito nel volere costituire un partito tutto suo, senza sostanziali ragioni politiche, ma solo per mantenere la poltrona di capo del governo, disposto ad arruolare chiunque, senza alcun filtro né etico, né tanto meno ideale; il secondo per i ritardi esagerati nella elaborazione della strategia di utilizzo dei 209 miliardi del PNRR, per i quali aveva già dimostrato di non avere alcuna idea di come utilizzarli a favore del rilancio economico e occupazionale, a parte generiche e superficiali stesure senza dettagli operativi, esponendosi così al dubbio di una destinazione in linea con la peggiore tradizione politica nazionale, di un utilizzo finalizzato più all’acquisizione di consensi, che per la ripresa del sistema economico e occupazionale. Due errori che hanno messo in allarme da una parte i partiti di maggioranza, PD e M5S, che avrebbero subito fortissime emorragie di consenso a favore di un soggetto la cui leadership era principalmente fondata sull’eccesso di esposizione mediatica, (se potessimo avere Filippo in tutte le tv per due-tre ore al giorno per due mesi, la Buona destra supererebbe nei sondaggi la Lega), ma soprattutto, dall’altra parte, l’Unione Europea, preoccupata dell’ennesimo possibile flop dell’Italia nell’utilizzo delle risorse concesse a scopo di rilancio dell’economia e avvio delle riforme dell’imballato sistema burocratico, giudiziario e fiscale italiano. Anche la narrazione sul congedo di Conte è stata pacchianamente favoleggiata, con una sottolineatura degli applausi al Presidente uscente, che sono notoriamente un classico a palazzo Chigi in ogni congedo del Premier di turno, perfino anche in occasione dell’uscita di Renzi, anche se le lacrime di Casalino hanno offerto uno spaccato, questo sì, senza precedenti. Ma l’aspetto politico della vicenda è valutare a che serve continuare a pensare nostalgicamente al governo di Conte? C’è davvero qualcuno nella Buona Destra che può ritenere che un Conte ter, magari con Tabacci, Rotondi, Ciampolillo e la badante di Berlusconi avrebbe gestito serenamente le risorse del PNRR? O piuttosto non ci sarebbe stato l’ennesimo e questa volta ancora più spietato “assalto alla diligenza”, che avrebbe costituito l’inizio della fine per il nostro Paese, avviato senza rete verso uno scenario di default? Oggi c’è un governo, con un leader che ha competenza e reputazione di livello internazionale. Ma questo non basta. Occorre vederlo alla prova e verificare giorno dopo giorno la coerenza tra le sue scelte e la reale difesa del “bene comune del Paese”. Ingenerose e poco riflessive appaiono però le valutazioni sui primi passi di Draghi, quasi a volerne sin dall’inizio metterne in discussione la credibilità e correttezza delle scelte che, a mio parere, fino ad ora appaiono coerenti con le aspettative. In primo luogo le critiche maggiori hanno sottolineato l’oggettiva mancanza di “Alto Profilo” di gran parte dei ministri politici, in ciò ignorando che la nostra rimane una Repubblica Parlamentare che impone a qualsiasi governo per operare, la necessità di disporre di una maggioranza che ne voti i provvedimenti in Parlamento. Se si parte da questo dato fondamentale, è più che evidente che Draghi ha messo in piedi il governo di “Alto Profilo” che Mattarella aveva richiesto, sicuramente per gli otto tecnici a cui ha affidato tutti i Ministeri chiave, sia ai fini della gestione delle risorse Europee, sia per le strategie da adottare in tema di riforme, ed ha nominato ministri, di ministeri meno incisivi sulla missione principe del PNRR, quei politici che per storia personale, ed influenza nei rispettivi partiti, più di altri esprimono coerenza con i valori europei e possibilità di garantire il leale sostegno del programma di governo nelle votazioni di Camera e Senato. Bisogna riconoscere che Draghi è riuscito nel miracolo di indurre la stragrande maggioranza dei 5 stelle ad appoggiare il governo, lo stesso vale per i recalcitranti LEU, e a mettere insieme IV, FI, PD ed addirittura la Lega, fieramente sovranista ed antieuropeista, lasciando all’opposizione solo FdI. In tal senso le critiche di molti amici circa l’adesione al governo della Lega, non hanno motivo di essere. In primo luogo perché questa scelta non dipende da noi, ed in politica le analisi si fanno tenendo conto che le speranze non sono fattori delle equazioni. Ma soprattutto perché tale adesione non ci danneggia affatto. Non solo perché la Lega dovrebbe pagare un alto prezzo politico alla sua istantanea metamorfosi, per come si evince dalle chat dei sovranisti delusi e traditi, ma anche perché a che titolo possiamo criticare tale scelta, a parte l’evidente incoerenza, di un partito che ha deciso di venire nelle medesime posizioni in cui noi eravamo naturalmente già collocati? Non è forse il proselitismo il primo dovere di un partito? Non è forse il diritto-dovere di convincere i cittadini tutti, avversari compresi, della bontà delle proprie idee, che ogni partito ha come missione principale? E quindi con quale coerenza potremmo mai criticare chi fa le scelte giuste? E poi questo in effetti a noi cosa toglie? La possibilità di attaccare la Lega sulle errate impostazioni sovraniste? Ma noi non siamo solo anti sovranisti. Siamo molto di più e lo dobbiamo dimostrare con i contenuti che devono, anche grazie a noi, tornare con forza nel dibattito politico, ed essere la base del confronto tra i partiti e del convincimento degli elettori, come sosteneva la Signora Thacher. Questa è la vera grande novità della Buona Destra rispetto agli altri partiti, ed anche a Draghi. Dobbiamo lavorare sui contenuti, confrontarci con le scelte del nuovo governo senza complessi né appiattimenti, guardando alla sostanza dei provvedimenti, ed ai comportamenti dei partiti della maggioranza e di quello rimasto all’opposizione. Se conosciamo i nostri antagonisti, sappiamo che i partiti saranno sempre facilmente criticabili e, quindi, non dobbiamo nutrire alcuna preoccupazione sulla loro collocazione al governo o all’opposizione, che può essere imbarazzante più per loro che per noi e dobbiamo esercitare ogni doverosa analisi sugli atti del governo, sul modo con cui saranno gestite le risorse concesse dall’UE e la loro coerenza sul raggiungimento dei risultati programmati, ricordando sempre che il lupo perde il pelo, ma non il vizio. In tal senso rimangono le praterie dei comportamenti criticabili, derivanti dalla tendenza al “partito unico della spesa” che affligge tutti i partiti dell’attuale scenario politico di governo ed di opposizione. E soprattutto dobbiamo puntare sull’argomento principe, la vera fede per una Europa che non può restare così come è strutturata l’attuale Unione Europea, ma deve assolutamente puntare, ed in tempi brevi, alla Federazione degli Stati Uniti d’Europa. Il che, come è evidente, è un tema che provocherà un’altra profonda contraddizione dell’attuale maggioranza, dove tutti sono diventati per opportunismo, anche repentinamente, europeisti della domenica, mentre la vera difesa degli interessi dei popoli europei impone scelte molto più radicali, che non facilmente potranno essere da tutti condivise, e che invece appaiono ineludibili. Coraggio quindi e fiducia su un futuro in cui la validità dei nostri valori, insieme alle nostre idee e proposte, farà la differenza nelle opzioni politiche che potranno essere prese in considerazione dai cittadini, specie se Draghi riuscirà nell’intento, da tutti noi fortemente sperato, di salvare l’Italia e rilanciarla nel contesto dei Paesi più avanzati e innovativi del pianeta, invertendo la tendenza al declino degli ultimi quarant’anni.