Il 16 maggio lo sciopero dei magistrati, indetto con grande clamore dall’ANM nell’assemblea plenaria del 30 Aprile scorso, si è rivelato un flop totale, che può trasformarsi in un boomerang per la categoria. Meno della metà dei giudici italiani hanno aderito all’iniziativa – si parla del 48% – con picchi limitati solo a Brescia, Ancona e Catania. Il resto dello stivale togato si è mostrato molto, molto tiepido e questo è un segnale che dovrebbe far riflettere il sindacato delle toghe.
Significativo il caso di Milano – avamposto storico di ogni battaglia a favore della categoria – in cui ha aderito solo il 40% dei giudici e, ancor più significativo, il caso della Corte di Cassazione dove gli scioperanti hanno raggiunto la esigua percentuale del 22% circa. Il dato, poi, si conferma impietoso anche nei grandi distretti giudiziari, dove l’adesione è stata inferiore al 50% con punte minime a Firenze (39%). Insomma, in sintesi, una debacle totale, a maggior ragione se si considera che l’ultimo precedente – nel lontano 2010 – aveva fatto toccare percentuali bulgare del 92% di adesioni (ma eravamo in pieno berlusconisimo e il monito borrelliano “resistere resistere resistere!” aveva ancora il suo accattivante fascino identitario).
Nel 2022, tutto è cambiato! L’unità della base che per decenni era stato il mantra di ogni battaglia di retroguardia per la magistratura italiana, si è spezzata e quest’ultima ha progressivamente perso credibilità agli occhi dell’opinione pubblica, come sostiene il GIP di Milano Guido Salvini, che oggi, dalle colonne del “Quotidiano Nazionale”, riserva una stoccata velenosa anche ai pochi aderenti accusandoli di esser stati zelanti “per assicurarsi qualche vantaggio futuro” e conformisti “nei confronti dei capi della magistratura”.
Intendiamoci, la perdita di credibilità dei giudici italiani non è affatto un bene per il Paese vista l’importanza che ha il potere giudiziario nell’ordinamento costituzionale, ma non si può negare che voler insistere su questo sciopero tutto politico sia stato davvero un errore clamoroso. La serrata, inoltre – sempre secondo Guido Salvini – è stato indetta di Lunedì, giorno in cui, già a condizioni normali, si celebrano poche udienze, con lo scopo evidente di non poter utilizzare quel parametro (cioè, il numero delle udienze effettivamente saltate per l’adesione) per misurarne la riuscita o meno. Insomma, un tentativo per annacquare un flop che evidentemente era previsto e preventivato dall’Associazione. Malizioso Salvini, ma se avesse ragione…
Comunque, la sensazione è che davvero gli organizzatori iniziassero già da tempo a sospettare l’esito infausto dell’iniziativa, visto che da qualche settimana, con un reframing linguisticamente brillante ma di contenuto scarso, parlavano di sciopero finalizzato a “far sentire la nostra voce”. Evidente la forzatura concettuale, visto che l’ANM ha avuto ampi spazi per poter collaborare con il governo, ma non li ha mai sfruttati preferendo trincerarsi dietro a sterili contrapposizioni ideologiche. E, quindi, come dar torto a Enrico Costa – Responsabile Giustizia di Azione – quando definisce questa iniziativa come intempestiva, pretestuosa e sbagliata nel merito, finalizzata unicamente a compattare la categoria contro il legislatore, nel sempreverde schema “noi contro di voi” (cioè, magistratura buona contro politica cattiva)?
Oramai questo schema funziona sempre meno e molti magistrati anche di primo piano se ne stanno finalmente accorgendo. Così come si stanno finalmente accorgendo che è venuto il tempo di scendere nel merito dei problemi e di abbandonare le barricate ideologiche perché la riforma della Giustizia è un’urgenza per il Paese, per il suo corretto funzionamento e per l’interesse generale dei cittadini. Speriamo! Adesso, archiviato questo (auspicabilmente, ultimo) colpo di coda corporativo e autoreferenziale, è, infatti, il momento di andare avanti, senza spirito di vendetta nei confronti di nessuno, ma consapevoli che il cammino è ancora lungo e necessita l’apporto costruttivo di tutti.