«È ufficiale. Ha appeso la pochette al chiodo», è questo lo sfogo fulmineo di un esponente dei Cinque Stelle, uno dei tanti finiti fuori dalle liste per via dei due mandati, ma rimasti comunque all’interno del Movimento. La scena probabilmente la pochette non la richiede più: per far presa sulla gente ci vuole ben altro, bisogna accorciare le distanze. Niente più giacca, addio alla cravatta costosa e ai gemelli; la camicia? Sempre più sbottonata. Tutti segni di quella che Tommaso Labate su «Il Corriere della Sera» chiama la metamorfosi del «avvocato del popolo»: “Del garbato statista che sussurrava alla Merkel nel leader descamisado che fa vibrare le folle del Sud, dell’uomo che parlava pacatamente a un Paese messo in ginocchio dalla pandemia nel forzuto arci-italiano del Secondo dopoguerra reso celebre dalla macchietta di Alberto Sordi, che ce l’aveva col mondo intero ma finiva a fare Tarzan nell’acqua del Tevere e a prendere di petto giusto un piatto di maccheroni”. Una strategia che a leggere i sondaggi paga nel Mezzogiorno.
Nei suoi discorsi Conte si riempie la bocca di sussidi e aiuti: «bonus mare», «bonus sisma», «bonus ristrutturazione abitativa condivisa», «bonus solidarietà». Tutto quello che è già possibile, «l’ho fatto io, l’abbiamo fatto noi», non fa che ripetere. Non a caso usa la parola «gratuitamente» negli interventi il leader pentastellato con la stessa disinvoltura con cui il Berlusconi degli anni Duemila diceva «aboliremo». Ed è questa se vogliamo l’ennesima versione, la sesta di Conte, quella che può convincere una buona fetta di elettori. La prima? Il Conte zero, quello che faceva il professore all’università, la seconda il Conte 1, poi il Conte bis. Abbiamo avuto in seguito la quarta, quella del Conte che entra nella maggioranza che sosteneva Draghi, e infine la quinta, il Conte che l’esecutivo guidato dall’ex numero uno della Bce lo ha fatto cadere in piena estate. Come ha scritto Marianna Rizzini in un articolo uscito qualche giorno fa sul «Foglio» è proprio la sesta versione “quella fa brillare per così dire lo zircone, la pietra che sembra un diamante ma non lo è: ed ecco che di fronte al leader M5s in campagna elettorale lo spettatore, e l’elettore, è costretto a chiedersi di continuo se la sparata del medesimo avvocato e professore appartenga alla categoria dei diamanti o degli zirconi”.
Tante facce che portano ancora oggi alcuni ad osannare l’ex premier, altri invece a ritenere Giuseppe Conte un “trasformista”, un “camaleonte”. Un politico capace di cambiare colore delle alleanze per stare al governo adattandosi alle circostanze. Che dice (o fa) una cosa e poi si affretta a smentirla: “Non firmerei più i decreti Sicurezza. Al netto della propaganda che ne fece Matteo Salvini, visto che non prevedevano di tenere le persone sulle barche, ma un principio ben diverso sulla distribuzione dei migranti. Detto questo, riguardando la mia esperienza da premier, ammetto che fu un errore, anche se vanno considerate le condizioni politiche della maggioranza che rappresentavo”, ha detto il leader del M5s in una recente intervista. Alla domanda “rigassificatore a Piombino, sì o no”, Conte ha risposto: “No, preferiamo quelli temporanei galleggianti”. Ora, magari siamo in errore noi eh: il rigassificatore che è stato previsto a Piombino è tecnicamente una unità galleggiante di trasporto, stoccaggio e rigassificazione (Fsru). Sempre Conte, l’uomo dei dpcm all’ora di cena oggi sostiene che sia stato un errore rendere obbligatori i vaccini per gli over 50.
Per non parlare delle recenti esternazioni sul conflitto in Ucraina. Non era lui contrario all’invio delle armi? Di fronte alle dure parole di Mario Draghi in conferenza stampa (“Non si può votare l’invio delle armi e poi dire no, non sono d’accordo. Oppure, ancora peggio, inorgoglirsi dell’avanzata ucraina dopo che si è votato e si è contro l’invio delle armi. Si voleva forse che l’Ucraina si difendesse a mani nude?”) forse molti si sarebbero trincerati in un dignitoso silenzio. Invece Conte no: “Ieri è stata forse l’ultima occasione ufficiale in cui il premier Draghi ha parlato. Poteva anche fare un bilancio della sua azione di governo, poteva farlo con il linguaggio di verità. Prendere atto del fatto che, ad esempio, c’è stato un fallimento in Europa. Sono passati sette mesi e non abbiamo avuto alcuna strategia per il gas, questo andava detto. Si è tolto invece qualche sassolino dalle scarpe”, ha dichiarato l’ex premier, dimostrando ancora una volta la sua insofferenza nei confronti del suo successore.